Uno degli argomenti sollevati per criticare, in primis su quel manuale di odio che sta diventando Facebook, Silvia Romano e i volontari delle ONG in genere è che non devono andarsi a ficcare in luoghi pericolosi perché “se lo fanno sono degli incoscienti. E poi noi paghiamo…“.
Si può certamente discutere il principio, se però si amplia il concetto di pericolo, e relativo possibile costo per la collettività, a tutte le situazioni insidiose nelle quali noi esseri umani ci buttiamo con gioia e sincera partecipazione.
Mi riferisco, per non parlare dei volontari che operano in aree “difficili” della stessa Italia, agli innumerevoli sport estremi che vengono praticati sia per il fascino di sfiorare il confine tra la vita e la morte, sia per fare soldi, sia per il gusto della celebrità.
Questi sport causano, ogni anno, centinaia di interventi delle diverse unità di soccorso che a volte salvano vite e a volte recuperano cadaveri. Ognuno di questi interventi costa parecchio e, inoltre, mette spesso a repentaglio anche la vita dei soccorritori.
Vogliamo proibire di scalare le montagne, attraversare in solitaria gli oceani, buttarsi con il paracadute, fare torrentismo o immersioni subacquee?
Certamente no, per quanto mi riguarda.
E quindi massima libertà per tutti di scegliersi impegni umanitari e passatempi.
Dimenticavo la questione dei riscatti. E’ una partita di giro anche quello per Silvia Romano. Recuperiamo tutto, abbondantemente, vendendo noi le armi che i terroristi adoperano.