Simonetta Avalle, nata il 21 aprile 1950 e scomparsa stamattina, 27 gennaio 2025, all’1.30 al Gemelli di Roma per un arresto cardiaco dopo una lunga malattia, non è stata solo una grande allenatrice di pallavolo femminile. È stata, prima di tutto, una persona straordinaria, capace di ispirare e trasmettere valori che andavano ben oltre il campo di gioco. La chiamavano la “signora del volley”, ma questo appellativo, per quanto prestigioso, non basta a descrivere la profondità della sua figura umana e professionale.
La sua carriera è stata un viaggio straordinario nel mondo della pallavolo femminile e puoi scorrerne qui una parte, come qui trovi solo una parte dei grandi tributi pubblici e mediatici odierni.
Ma di lei (e della parte di me che ne è “siamese”) voglio parlarne di persona.
Simonetta ha allenato con passione, competenza e una dedizione senza pari, toccando il cuore di chiunque abbia avuto il privilegio di lavorare al suo fianco. Una delle tappe più significative del suo percorso, per me, è stata la stagione 1987-1988, quando ho avuto l’onore di sponsorizzare la sua squadra, il Tor Sapienza di Roma, nel campionato di Serie A2 femminile, attraverso la Bit Computers, la società che dirigevo, leader in Italia per la vendita di personal computer Apple.
Quell’anno non è stato solo un’occasione professionale, ma anche l’inizio di un legame indissolubile con Simonetta Avalle e con il suo unico e indimenticabile fratello Gianni, altrettanto “malato” di pallavolo. Con loro ho scoperto un amore profondo per questo sport, che sarebbe diventato una parte integrante della mia vita: quando me l’hanno sottratta, nella miope e, talvolta, cattiva Vicenza, è come se mi avessero strappato un organo vitale. Perché la pallavolo femminile, per me, non è mai stata solo uno sport: è stata una passione che Simonetta, con la sua forza e il suo esempio, mi ha insegnato a vivere.
Nonostante le difficoltà, la vita ci ha spesso riuniti. Dopo aver dovuto interrompere quella prima esperienza nel 1988 a causa della vendita delle mie quote societarie, per delusioni con un socio scoperto come poco “amico” (fu la prima di tante volte successive, mi autoaccuso per accesso di fiducia negli altri), per fondare la Unibit spa, che divenne il primo marchio in Italia, dopo i grandi brand, dei personal computer compatibili IBM, il richiamo della pallavolo mi ha riportato al fianco di Simonetta Avalle nel 1991.
Fu in quella stagione che tornai a sponsorizzare la sua nuova squadra, il Colli Aniene, sempre in Serie A2. Con il suo straordinario talento (e col suo sempre accogliente sorriso), il supporto di Gianni e la guida di Roberto Braga, riuscimmo a portare quella squadra in Serie A1, un traguardo storico per un club romano. Non ci fermammo lì: arrivammo a disputare la finale scudetto e a conquistare la qualificazione per la Coppa CEV, che il club avrebbe vinto l’anno successivo quando la mia vita professionale mi aveva già portato a Vicenza nel 1992, a Cornedo Vicentino, in quella azienda che ora è la grande GDS,. in cui rimasi per un anno per poi tornare alla mia sempre folle libertà “creativa”.
Ma la vita separa e riunisce, e così è stato anche per me e la pallavolo. Nel 1992, sono arrivato a Vicenza per motivi professionali, legati al mio storico settore dei personal computer, dove lavoravo nel cuore di un mercato in espansione. Non immaginavo che quella città, per me nuova, sarebbe diventata il centro di una rinascita sportiva che avrebbe riportato la pallavolo femminile al centro della mia vita.
In questo percorso, non solo sportivo, Simonetta Avalle mi è stata vicina sempre, perciò lo ricostruisco a lungo.
Nel 1994 presi in mano il locale club di Serie A2 di pallavolo femminile, un sport che ad alto livello, all’epoca, era quasi sconosciuto in città e per molti addirittura osteggiato. Vicenza, infatti, era terra del basket femminile, uno sport radicato nella cultura cittadina e che dominava la scena ad alto livello. La pallavolo sembrava un sogno distante, una passione da coltivare con fatica e controvento. Eppure, con impegno, lavoro e un amore incrollabile per questo sport, riuscimmo a trasformare quel sogno in realtà.
Nel corso di pochi anni, il club passò da una dimensione semi-sconosciuta ai massimi livelli nazionali e internazionali. Nel 1997-1998 conquistammo la promozione in Serie A1, un traguardo storico per Vicenza, dopo che lo era stato per Roma, seguito da due semifinali scudetto che portarono il nome della città sotto i riflettori di tutta Italia. Non furono solo successi in campo nazionale e non solo: vincemmo una Coppa CEV, una Supercoppa e trionfammo nel beach volley con tre campionati italiani e quattro Coppe Italia e con ben tre scudetti giovanili oltre a tanti campionati di Lega di serie A e federali. Il quarto scudetto giovanile, purtroppo, dovetti lasciarlo a chi “mi aveva estorto” il club, per “vendetta” contro le testate che vi accompagnano dal 2006, ma il dolore di quella separazione non cancellò il senso di orgoglio per quanto costruito.
Uno dei traguardi più emozionanti, però, non fu solo sportivo: fu vedere una città intera avvicinarsi alla pallavolo. Vicenza si innamorò di questo sport, e il palasport, che allora conteneva a malapena 1.800 spettatori, peggio che ancora oggi, si riempiva fino all’orlo di tifosi entusiasti, lasciando fuori tanti altri che avrebbero voluto far parte di quel lungo momento magico. Era come se tutta la città si fosse stretta attorno alla squadra, rendendola parte integrante della sua identità.
In questo percorso, Simonetta Avalle, dicevo, mi è stata vicina sempre, non solo con consigli e parole di incoraggiamento, ma anche con la sua presenza concreta. Più volte, nei momenti decisivi, la sentivo, le chiedevo un consiglio o un’opinione, e ogni volta trovavo nella sua esperienza e nella sua forza una guida preziosa. Negli anni 2003 e 2004 la portai, finalmente e in un periodo di crisi della squadra, a contribuire attivamente al progetto pallavolistico di Vicenza, aggiungendo il suo talento e il suo amore per lo sport a quello che stavamo costruendo insieme.
Ma, come spesso accade nello sport, ci sono momenti in cui bisogna prendere decisioni difficili. Nel 2004, per via di dinamiche interne alla squadra, fui costretto a fare a meno della sua collaborazione. Fu una decisione sofferta, anche per lei ovviamente ma mai la signora del volley me la rimarcò successivamente, e fu una delle più difficili della mia vita sportiva, perché, se gli allenatori spesso pagano per responsabilità che non sono solo loro, il legame particolare che avevo con lei mi faceva sanguinare dentro. Quel dolore non si è mai dissolto, e oggi, di fronte alla sua scomparsa, ritorna con una forza moltiplicata.
Simonetta ha deciso di lasciarmi, dopo un male di cui non mi aveva parlato, forse per non farmi preoccupare. È una scelta che rispecchia il suo carattere: forte, riservato, sempre più preoccupato per gli altri che per se stessa. Nonostante la lontananza fisica degli ultimi anni, mi è stata sempre vicina, sia in presenza (è stato a Roma dove ero tornato durante il Covid maledetto) che a distanza. Era uno di quei pochi veri amici che restano quando la vita ti mette alla prova, come lo sono stati suo fratello Gianni e il mio caro amico Renato, scomparso anche lui nel 2023.
Stamattina mi sono svegliato dopo un sogno, da non crederci o dal rimanere a dir poco pensierosi. Simonetta era lì, con i suoi capelli bianchi, ma più intensi, quasi luminosi, come se riflettessero un bagliore, ora tremo nel pensare quale fosse. La vedevo allenare una squadra, affrontando difficoltà, come spesso aveva fatto in vari club in tutt’Italia, dal nord al profondo sud, con quella forza sovrumana che l’ha sempre caratterizzata. Io, nel sogno, come spesso ancora mi accade, cercavo di rientrare in quel mondo della pallavolo che, nonostante tutto, continua a essere parte di me. Oggi quel sogno lo interpreto come un messaggio, un segno della sua presenza che non mi abbandonerà mai. E come un arrivederci a me, che praticante non sono ma che ora mi sto interrogando.
Simonetta, non so dove sei ora, ma so che resterai sempre nel mio cuore. Finché il mio cuore batterà, sarai con me, in ogni ricordo, in ogni pensiero, e nel cuore di chi ama davvero la pallavolo, senza distinzione di genere, ma con autentica passione.
Grazie di tutto, Simonetta, e ciao. A quando sarà, se il nostro giaciglio sarà lo stesso o vicino o se non ci sarà un giaciglio.
Perché la storia è già il tuo eterno domicilio.
La camera ardente con bara aperta sarà al Gemelli mercoledì 29 gennaio dalle ore 8:00 alla partenza del feretro per Tor Sapienza.
La bara chiusa sarà in chiesa alle ore 11,30, il funerale inizierà alle ore 12,00.