Di Rosaria Amato. Da la Repubblica. Alla fine saranno in pochi a trasferirsi in un borgo ameno a decine di chilometri dalla città, magari all’estero. Il modello di smart working post pandemia che sta emergendo è sempre più ibrido, “misto”, un po’ dentro e un po’ fuori, ma mantiene quasi sempre l’ufficio come centro di riferimento. Con varie differenze: si va da uffici ormai pieni quasi al 100%, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, visto che sono state abrogate le soglie minime di lavoro agile, ad aziende che si sono organizzate per un lavoro in presenza a rotazione, firmando anche protocolli con i sindacati per proiettarsi già al futuro dopo la pandemia. E anche se il decreto “Riaperture” ha prorogato al 31 dicembre la possibilità per le aziende di proseguire con lo smart working “semplificato”, che fa a meno dell’accordo con il lavoratore previsto dalla legge 81/2017, la tendenza è sempre più a far rientrare a poco a poco i lavoratori, proprio come sta avvenendo all’estero persino nei colossi del web come Apple e Google.
Chi sosteneva che dopo la pandemia nulla sarebbe tornato come prima ha ragione solo in parte: da un’indagine Manageritalia emerge che, se prima del virus solo il 7% delle aziende faceva lavorare da remoto una quota superiore al 75% dei dipendenti, dopo la pandemia a farlo sarà una percentuale di poco più alta, l’11%. Più significativo il passaggio a un’organizzazione mista: prima della pandemia il 21% delle aziende aveva in smart working una quota compresa tra il 10 e il 70% dei lavoratori, in futuro saranno il 55%, mentre si dimezzano quelle che non sanno cosa sia il lavoro agile. «Superata la fase emergenziale – dice Mario Mantovani, presidente Manageritalia – si sta procedendo verso un modello più normalizzato, che prevede che almeno il 50% del tempo venga passato in ufficio, l’attività in comune non è sostituibile con una o due presenze al mese, servono almeno uno o due giorni la settimana in modo strutturale».
Un lavoro perennemente da remoto resta un sogno per pochi. E dall’estero per pochissimi: «Il dipendente che ha scoperto che può lavorare benissimo da Parigi, dove la fidanzata ha un appartamento, può creare all’azienda problemi legali dal punto di vista fiscale e contributivo – rileva Giuseppe Merola, giuslavorista dello studio Pirola Pennuto Zei & Associati – Le tasse, dopo 183 giorni, si pagano nel posto in cui l’attività lavorativa viene svolta. Per i contributi il periodo può essere anche più breve. E poi c’è la questione sicurezza: in caso di infortunio, l’Inail potrebbe rifiutarsi di indennizzare il lavoratore».
Per il resto, le aziende che più credono nello smart working hanno già abolito le scrivanie fisse e disposto una presenza a rotazione e su prenotazione: «La nostra policy prevede dieci giorni al mese di lavoro da remoto a regime – dice Ruggero Dadamo, direttore risorse umane Sisal – in continuità con un progetto avviato già nel 2016 in collaborazione con il Politecnico di Milano». Molte sono invece già pronte al “rientro”: «Noi siamo un’azienda della grande di stribuzione, da remoto eravamo in pochi – spiega Manuel Modolo, direttore risorse umane di Maxidi – Ora siamo tornati tutti in presenza, con grande gioia. Alla fine anche chi sperava di avere più tempo da passare con i figli ha sperimentato le difficoltà ».
Rientro quasi pieno anche per la Pubblica Amministrazione, non senza contestazioni: «C’è voluto un virus per imporre lo smart working negli uffici pubblici, ma adesso il rischio è che si perdano i passi in avanti verso la digitalizzazione e il lavoro per obiettivi che si era stati costretti a fare», osserva Tiziana Cignarelli, segretaria generale Codirp (dirigenza pubblica). Il “rientro” lascia insoddifatta anche una parte dei dipendenti privati: «Il rischio è che ci siano situazioni come quelle di Apple, dove i dipendenti hanno chiesto di non essere costretti a tornare in ufficio – dice Mariano Corso, responsabile scientifico Osservatorio Smart Working del Polimi – Anche se si vuole alternare il lavoro in presenza a quello agile, bisognerebbe farlo in modo da consentire ai dipendenti di vivere lontano dall’ufficio. Altrimenti chi non vuole ritornare alla routine 9-18 in ufficio farà di tutto per cambiare lavoro».