È iniziata la primavera… Soave! Forse, ma in questi ultimi giorni della prima settimana di aprile non sembra. Il calo termico, l’auspicata pioggia mi riportano dritto nel mio studiolo. Un intimo spazio in cui spesso riesco a dialogare con la mia anima. Ho davanti ai miei occhi i dodici quadri di mia madre, Ognuno rappresenta un segno zodiacale, quasi una predestinazione d’identità.
Certo, quante volte ascoltiamo la radio, leggiamo il quotidiano, cartaceo o online che sia, dopo il primo caffè del risveglio mattutino cerchiamo sul nostro cellulare informazioni sul nostro zodiaco, ed ansimiamo. Cerchiamo gli auspici di una buona giornata. Lo facciamo da sempre, dagli albori della civiltà.
Ovviamente cercare di conoscere cosa succederà oggi, domani, dopodomani è un moderno rito, per alcuni sacro e per molti banale e poco intelligente. Eppure gli ultimi giorni dell’anno e i primi del nuovo siamo in tanti incollati e curiosi di sapere come andrà il nostro destino esplorando le stelle. Tutti i santi giorni, nolenti o volenti, viviamo ricercando il nostro futuro, che ogni mattina dopo la prima colazione comincia a diventare passato.
Che strana la vita. Ogni ventiquattro ore la luminosità che pervade le finestre del nostro futuro si spegne dietro una porta semi chiusa in cui depositiamo il nostro passato, diventando ostaggio del nostro presente e della nostra vita quotidiana. Passato, presente e futuro. Amici e nemici dei sentimenti umani, e delle nostre disavventure ed imprese, ma sempre protagonisti delle gioie dell’esistenza.
Già, la gioia. Come si cerca, come si ottiene?
Oggi ho stappato un bottiglia di Soave, ottimo vino veronese, acquistato in un noto supermercato. Pensate: a un euro e novanta centesimi. Una doc classica del 2017, denominata Giulio Pasotti, che peraltro non conoscevo. Il Soave, un vino che ha una denominazione di certezza e di felicità. Uno dei più raffinati vini italiani.
Del resto il territorio di Soave era già in epoca romana un “Pagus”, un distretto amministrativo rurale, rinomato per l’intensità delle sue coltivazioni. Già il re goto Teodorico in alcune sue epistole raccomandava ai produttori veronesi di ricercare per la mensa reale questi “vini soavissimi e corposi.
Lo apro e sinceramente non apprezzo il tappo, che non è di sughero: è “plastificato. Non voglio essere falsamente raffinato, ma il sughero in una bottiglia non è un accessorio banale. È la cravatta della bottiglia e deve essere sempre quella giusta.
Risolvo l’inconveniente scovando, nella credenza di casa, un vecchio, ma sempre elegante, bicchiere da degustazione, alto e a forma di tulipano. Giusto per i vini importanti. Verso il nettare degli dei, controllando che la temperatura sia adeguata (8-10 gradi). Subito colgo il profumo di fiori bianchi e di pesca. Esamino il colore del prezioso liquido e riconosco un giallo dorato, un paglierino intenso, che incute serenità.
Comincio a ruotare il calice e scruto il vino abbinandolo all’olfatto . Mi sento un sacerdote che ripete un rituale, semplice ma efficace. Un cerimoniale che inizia con il piacere del primo sorso di vino che esalta il vitigno principale, la Garganega integrato da Trebbiano di Soave e Chardonnay. Il mio palato e il cervello registrano continue sensazioni di piacere.
È il momento della distribuzione nel palato del succo d’uva. Rialzo il calice e il nuovo sorso è celebrato da un magnifico retrogusto. Alzo gli occhi, con il calice in mano e fisso i quadri della mamma, che sembrano a loro volta impiantati ad osservarmi, quasi meravigliati, forse anche infastiditi della mia indifferenza verso quello che loro rappresentano: il futuro.
Anche il mio studiolo, che assiste a questo rito quasi ancestrale sembra irritato da un incessante e fastidiosa pioggia, che batte sulle finestre, che tenta di disturbarmi. Già la natura contro la natura: acqua contro vino, ebbrezza contro sobrietà, passato contro futuro.
Ciononostante il presente è il mio momento di piacevole ozio e di serenità terrena. Una contemplazione con in mano un calice di vino… Soave .