L’espressione anglosassone “wiched problem”, dove il primo termine è traducibile con maligno, indica un problema la cui complessità è talmente intricata che le proposte di soluzioni espresse a ogni livello, accademico, politico, popolare, sono fortemente contraddittorie e molto lontane da una visione condivisa – si legge nella nota a firma di di Gian Luigi Corinto, geografo ambientale, collaboratore Aduc (qui altre note dell’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.
Il senso è la soluzione che è impossibile o molto difficile perché le decisioni da prendere sono basate su elementi del tutto incompleti, contraddittori, continuamente mutevoli, e spesso addirittura difficili da riconoscere. Un problema maligno è tale se è sorprendentemente nuovo e assolutamente tenace, tale da essere più complicato che complesso, condiviso tra sistemi diversi, nei quali non esiste un’unica gerarchia delle decisioni da prendere.
Di fonte a problemi di questa natura, le soluzioni causano altri problemi, non c’è una chiara definizione del successo finale, le regole appaiono non indirizzate a un fine ben preciso. L’incertezza e l’ambiguità non sono evitabili, le scelte da compiere non possono essere etichettate come giuste o sbagliate in senso assoluto, ma solo come migliori o peggiori. Un fatto determinante è che molto spesso le società umane sono attraversate da profonde e feroci diversità di opinione, che si contrappongono senza tregua. Questo è il nodo centrale della questione sui problemi maligni: la grande variabilità sociale di fronte alla necessità di indicare soluzioni credibili anche se faticose.
La variabilità presente in ogni società è interpretabile attraverso la cosiddetta analisi “grid-group”, sviluppata inizialmente dagli antropologi inglesi Mary Douglass e Michael Thomson e dallo scienziato politico americano Aaron Wildawsky. In parole semplici esistono quatto modi primari di organizzare le relazioni sociali; egualitarismo, gerarchia, individualismo, fatalismo. Questi quattro modi di vedere il mondo sono in conflitto su ogni aspetto della vita sociale, pur talora mescolandosi e mitigando gli estremismi sono espressione di culture molto diverse coesistenti in ogni società.
I fatalisti credono che non ci sia niente da fare contro forze superiori. I “gerachici” pensano fermamente che ogni problema si possa risolvere con l’imposizione della forza e che l’iniziativa individuale non serva a nulla. Gli individualisti pensano che nel mercato ci siano meccanismi capaci di risolvere tutto, la tecnologia innanzitutto e gli incentivi, compresi quelli negativi, cioè le tasse. Gli egualitari pensano che solo il rispetto etico degli altri e della natura sia risolutivo.
Gli scienziati anzi detti, come molti altri, ritengono che di fronte a un problema maligno questa divisione sociale non possa produrre una soluzione “elegante”, cioè intelligente e semplice allo stesso tempo. Sono praticabili solo soluzioni “clumsy”, cioè ineleganti, complesse e difficili da gestire che mettano insieme soluzioni che provengono dai diversi modi di pensare diffusi nella società.
Il pensiero riduzionista e di semplificazione di ogni problema di natura sociale, mettiamo le pandemie, l’eutanasia, le terribili questioni geopolitiche attuali, di chi ha un’immediata soluzione in tasca, conduce inevitabilmente a a scelte fuorvianti e destinate a fallire prima o poi. Serve maggiore conoscenza dei fatti e della complessità degli eventi. Servono strumenti politici che sono faticosi da gestire ma capaci di coinvolgere il maggior numero di persone possibile nelle decisioni, proprio perché titolari di modi diversi di vivere e vedere le cose. Ogni tentativo di ignorare le posizioni altrui porta prima o poi a risultati negativi e alla continuazione dei “wicked problem”, di ogni problema maligno, col risultato di produrre una spirale infinita di conflitti sociali.
Gian Luigi Corinto, geografo ambientale, collaboratore Aduc