Nel luglio scorso, il ministero della Salute ha trasmesso alle Camere una relazione sul tema della sperimentazione animale nel campo della ricerca sulle sostanze d’abuso, in corso di annuncio e di assegnazione alle commissioni competenti. Nella relazione, di cui Public Policy ha preso visione, si ribadisce, dopo studi e indagini sull’esistenza di metodi alternativi alla sperimentazione su modelli animali “in vivo”, che allo stato attuale delle conoscenze scientifiche tali metodi non sono sostituibili.
Se, dunque, entrasse in vigore il divieto alla sperimentazione animale nell’ambito delle sostanze d’abuso (presente nella legge italiana dal 2014 ma mai applicato perché, come precisato nello stesso documento, oggetto di rinvio nei dl Milleproroghe approvati da allora ad oggi), “assisteremo – si legge nelle conclusioni – a una limitazione sul territorio italiano dello studio e della ricerca […] oltre a dover rispondere all’Ue per l’inevitabile prosieguo della procedura di infrazione”.
LA PROCEDURA D’INFRAZIONE UE SULLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
La procedura d’infrazione europea è stata aperta in quanto, nel 2014, l’Italia ha recepito la direttiva Ue in tema di sperimentazione animale, ma aggiungendovi alcune misure ulteriormente restrittive, tra cui appunto il divieto alla sperimentazione nel campo delle sostanze d’abuso e degli xenotrapianti.
LA RICERCA SULLE SOSTANZE D’ABUSO
“Il campo della ricerca per i metodi non animali o human-based nell’ambito delle sostanze d’abuso – si legge nella relazione – è ancora in fase di sviluppo”. “Negli ultimi 15 anni – si spiega – le tecnologie in vitro hanno subìto dei miglioramenti significativi, rendendo i modelli (…) sempre più vicini alla realtà fisiologica umana” grazie allo sviluppo di nuove biotecnologie quali ad esempio gli organoidi di diversi tessuti realizzati partendo da cellule staminali e le nuove tecniche di analisi highthroughput. Tuttavia, “attualmente – si puntualizza nel documento – pensare di sostituire in toto il modello animale con quello non animale, poiché il primo ha un limitato valore traslazionale, sarebbe non solo utopistico ma, al momento, anche non scientificamente valido”.
SICUREZZA E BENESSERE ANIMALE: IL PRINCIPIO DELLE “3 R”
Il Ministero della Salute, si sottolinea, autorizza l’uso di modelli animali “conformemente a quanto disposto dal dlgs 26/2014 [vale a dire il decreto di conversione della direttiva europea sul tema;NdR], nel rispetto del principio delle 3R, ovverosia i principi di Refinement, Replacement, Reduction (sostituire, ridurre e affinare la sperimentazione animale) che (…) rendono possibile la ricerca attraverso il modello animale solo se non esistono metodi alternativi e se si riducono al minimo il numero degli animali da laboratorio e le sofferenze inflitte agli stessi”. Le autorizzazioni inoltre vengono rilasciate tenendo conto “dell’assoluta indispensabilità e necessità dell’uso dell’animale, della assenza di metodi alternativi in vitro, della non ripetizione degli studi e in ultimo, dell’utilizzo del minor numero di animali per raggiungere l’obiettivo prefissato. Infine si verifica che gli studi siano finalizzati alla salute dell’uomo”.
LE RIMOSTRANZE DELLA COMUNITA’ SCIENTIFICA: LA RICERCA IN PERICOLO
“Diverse – si ricorda nella relazione – sono state le rimostranze legate all’attuazione della direttiva europea sul territorio italiano da parte del mondo della ricerca, che, con più solleciti e richieste d’incontro, da ultimo con nota della Società italiana di Farmacologia indirizzata anche al presidente del Consiglio [oltre che ai ministri Speranza e Manfredi e al viceministro Sileri; NdR], hanno rilevato come il divieto all’utilizzo degli animali in studi su sostanze d’abuso e xenotrapianti rappresenti un ostacolo per la ricerca italiana”.