Stato di insolvenza delle venete? CorVeneto: per Giovanni Schiavon rimane il rischio di non vedere un soldo

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I fronti legali, nel caso delle ex popolari, si moltiplicano. Così come si moltiplicano, in parallelo, le certezze che tutto questo risulterà inutile per far recuperare soldi ai risparmiatori che nel crollo di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno perso tutto. E che si vedono impedite per legge le azioni di rivalsa, visto il decreto di liquidazione del 25 giugno le ha bloccate nei confronti di Banca Intesa Sanpaolo, a cui lo Stato ha trasferito le parti «buone» delle due venete.

Succede ora con l’apertura, nel caso di Veneto Banca, del secondo fronte penale, dopo l’inchiesta di Roma per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, che è in udienza preliminare proprio per la costituzione delle parti civili. Il filone è quello di Treviso, dove la Procura sta indagando per falso in bilancio, falso in prospetto, falso nelle relazioni delle società di revisione e anche per truffa, sulla base di 2.500 denunce, lasciando presagire tra l’altro un allargamento dell’inchiesta oltre il capitolo del 2013 che ha dato vita all’inchiesta di Roma, per esempio a come fu collocato tra il pubblico l’aumento di capitale del 2014.

Nell’ambito di questa inchiesta il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha ora depositato al tribunale fallimentare di Treviso la richiesta di riconoscimento dello stato d’insolvenza. Che permetterà di appesantire i reati per cui s’indaga, visto che si potrà procedere anche per bancarotta fraudolenta e far leva anche qui sui sequestri.

Il passaggio è chiesto a gran voce dalle associazioni dei risparmiatori e certo è rilevante per approfondire le responsabilità anche su gravi ipotesi di reato, a partire dalla bancarotta. A patto però di non alimentare facili speranze tra i risparmiatori che sarà quella la strada legale da battere, con la costituzione di parte civile, per far ottenere i risarcimenti ai soci che hanno perso tutto.

Intanto perché la stessa dichiarazione d’insolvenza è tutt’altro che scontata, come si potrebbe pensare di fronte alla liquidazione delle due banche o scorso giugno. «L‘insolvenza di Veneto Banca non c’era proprio», argomenta senza mezzi termini Giovanni Schiavon, l’ex presidente del Tribunale fallimentare di Treviso (ed ex vice di Veneto Banca, ndr) che aveva fatto parte della commissione Trevisanato, quella che aveva avviato i primi passi della riforma del diritto fallimentare.

D’altra parte lo stesso Pm De Bortoli, rispetto al nodo decisivo di stabilire quando far scattare l’insolvenza, ovvero il momento in cui la banca non riesce più a far fronte ai suoi obblighi, fissa il termine pochi giorni prima la liquidazione del 25 giugno. Ovvero al mancato pagamento, il 21, dei 150 milioni di un bond subordinato (e tra l’altro escludendo così responsabilità nel provocare la liquidazione, e quindi l’eventuale bancarotta, in capo al cda di Atlante). Bond non pagato, però, non perché Montebelluna non avesse i soldi, ma per un decreto del governo. Che aveva sospeso il pagamento di fronte all’incertezza sul via libera alla ricapitalizzazione precauzionale, in forza degli 1,2 miliardi di euro che la Commissione europea aveva chiesto alle due venete per coprire le perdite prevedibili dal piano di fusione, e che nessun privato metteva. Senza un decreto la banca era in un vicolo cieco: se pagava, e fosse poi finita in risoluzione, dovendo azzerare i bond subordinati, gli amministratori si sarebbero tirati dietro l’accusa di bancarotta preferenziale. Viceversa, il non pagare per questo motivo non avrebbe salvato la banca dall’esser dichiarata insolvente.

A questo punto è chiaro che decisiva è la richiesta dell’Ue degli 1,2 miliardi di euro dei privati, scattata a metà maggio. Richiesta prospettica, che riguarda perdite prevedibili da coprire con ulteriore capitale, non una crisi immediata. Fino ad allora l’emergenza è certo pesante: i depositi continuano ad uscire nell’incertezza del via libera di Bruxelles; ma non viene percepita come capace di far saltare la banca nell’immediato, vista anche la liquidità dei bond garantiti dallo Stato. Non a caso ad aprile le due banche avevano pagato 400 milioni di rimborsi ad oltre centomila soci per chiudere i contenziosi legali; cosa che non avrebbero potuto fare, se fosse stato attuale il rischio di una risoluzione. E ancora a marzo Bpvi e Veneto Banca erano state ammesse da Bce a trattare con l’Ue la ricapitalizzazione precauzionale tra i 4 e i 6 miliardi. Il cui presupposto fondamentale, si ricorderà, era di essere solvibili.

Ancora va ricordato che la liquidazione a fine giugno scatta sulla base della regola europea del «failing or likely to fail», ovvero che la banca è in dissesto ma anche in probabile dissesto. Che è altro dall’insolvenza della legge italiana, che distingue chiaramente tra stato di crisi e fallimento. «Quel principio – sostiene Schiavon – esprime lo stato di avvicinamento alla procedura di risoluzione delle norme europee, tanto che viene spiegata con la carenza di capitale; ma non si riferisce alla capacità del debitore di assolvere ai sui obblighi, stabilita dalla legge italiana. Ma allora -, aggiunge Schiavon – la liquidazione è stata aperta per insolvenza o per revoca della licenza bancaria? I dubbi sulla sussistenza dello stato d’insolvenza sono leciti».

Se i dubbi non mancano (e sul punto, tra l’altro, il tribunale per accertare lo stato d’insolvenza dovrà sentire i commissari liquidatori, tra cui anche l’ex manager di Bpvi e Veneto Banca, Fabrizio Viola), anche a volerla considerare per dichiarata, va detto che gli eventuali soldi che dovessero entrare con sequestri e revocatorie non andranno ai singoli risparmiatori che volessero costituirsi, magari per la seconda volta, parte civile. Perché, ormai avviata l’azione di responsabilità dai commissari liquidatori, lì finiranno i denari recuperati. Che andranno ad arrotondare almeno i soldi da spartire tra i creditori, si dirà. A patto però di non dimenticare che i primi 5 miliardi recuperati andranno in via prioritaria allo Stato, per far fronte ai soldi dati ad Intesa per farsi carico delle attività salvate di Veneto Banca e di Popolare di Vicenza.

«Sì è così», dice sconsolato Schiavon. «La richiesta servirà a dimostrare che l’insolvenza non c’era, che la banca era certo in difficoltà, ma non insolvente. Ma questo allarga ulteriormente la necessità di risarcire i soci che l’hanno persa definitivamente». Schiavon si spinge oltre il fondo approvato dal parlamento: «Ad esempio chiamando Intesa a dar titoli propri in concambio ai vecchi azionisti. O con mosse dello Stato che ricorrano anche a deroghe alle norme, visto che il decreto di liquidazione ha derogato a tutto, anche a danno dei risparmiatori. Fino a far postergare (retrocedere nell’ordine di priorità, ndr) i crediti dello Stato nella liquidazione rispetto a quelli dei soci».

di Fabrizio Nicoletti, da Il Corriere del Veneto