Se n’è andato il 6 ottobre 2011 a 56 anni Steve Jobs, uno dei tre fondatori della Apple, e con lui una parte di me, che pure di lui sono più vecchio di quasi un lustro. Jobs, il mito della Apple di sempre, il 1° aprile 1976 la fondò con Steve Wozniak e il primo finanziatore Mike Markula, l’ho incontrato prima a Roma (nella foto con lui in primo piano il mio volto è il quarto da sinistra) e poi l’ho incrociato di nuovo nel 1985 in uno dei suoi regni di allora: Cupertino, in California. Un momento di emozione, ho già chiesto scusa a voi, e di riflessione per rimettere in ordine (la mia età non mi chiede scusa) le mie piccole memorie di quel grande uomo, che ha contribuito a cambiare la storia del mondo e, più in piccolo, la mia.
E da cittadino ora di Vicenza e da “ex ingegnere elettronico” romano di allora vi racconto quello che ho promesso, quello che ricordo. Era, quindi, maggio, nel 1985, addirittura pochi giorni prima che Jobs fosse defenestrato dal vertice della società dal suo “delfino” ma poco “visionario” John Sculley. Salvo tornarvi molti anni dopo per farla rinascere dalle sue ceneri e farla tornare ad essere la stella che ora è. Era maggio quando la Apple, quindi, premia i migliori suoi partner europei con un viaggio in Usa (nella foto io nel gruppo a Cupertino,).
Tra le aziende italiane c’era quella per cui lavoravo dal 1981 promuovendo, vendendo e assistendo, già di mio senza il classico camice bianco da ingegnere, i loro computer. Fin dall’epoca dell’Apple II, “il” primo vero personal computer di successo con ben 48 Kb di memoria Ram (sì, Kb, non è un errore di stampa, ma siamo a 33 anni fa, una vita, di più, un’era nell’informatica). Dovevo andare con mia moglie ma pochi giorni prima la mia signora subisce un incidente d’auto a Roma, con la macchina distrutta, dei bei “bozzi” sul volto ma per fortuna senza i due gemelli di quasi un anno a bordo. E io, come sempre incoraggiato da lei, parto, comunque. Da solo. Forse con lei avrei fatto più turismo (forse!). Ma da solo, di giorno, mentre tutti gli altri se ne vanno in giro tra Twin Towers (ovviamente c’erano ancora, Rodeo Drive e Golden Gate a seconda che fossimo a New York, Los Angeles o San Francisco, io giro le città a stelle e strisce per capire come lì si vendono i personal computer, della Mela e non solo. E, con gli occhi da cliente ipotetico per studiare come attrarne l’interesse poi, da “venditore”, visito i grandi magazzini Macy’s, tra i primi, 33 anni fa!, a vendere informatica. E poi i singoli negozi e le catene di computer shop, da Business Land a Computerland. E il turista? Faccio anche quello, ovviamente, malato come sempre sono stato di iperattivismo. Ma rigorosamente di notte. E (inconscientemente?) anche nel Bronx (e quì abbiamo paura di campo Marzo?). Ma poi arriva il clou: da San Francisco tutti verso le cattedrali della Silicon Valley. Tutti, rigorosamente in pullman, meno io e un dirigente dell’allora importatore in Italia della Apple, che, assetati di novità, non ci lasciamo sfuggire una botta di vita Usa on the road, affittiamo un’auto (di quelle poco ecologiche di allora) e scivoliamo verso Cupertino, sede principe dell’azienda di Jobs, percorrendo per la prima volta autostrade a quante corsie non so. Arriviamo e entriamo nel tempio. Non vi racconto nulla che non sia noto se non pochissime particolarità. Accanto alla sede di ideazione, progettazione e costruzione dal 1984 dei Macintosh (i Mac da cui poi sono nati i prodotti attuali e dal cui sistema operativo si è sviluppato l’approccio user friendly ai computer e, poi, gli Ipod, Iphone e Ipad) c’era un negozio. Di computer? No. Di gadget col simbolo della mela: dalle tazze, agli asciugamani da spiaggia, alle vele per surf, alle penne, anche quelle d’argento col micro simbolo del trio della Apple sul cappuccio che avevano l’onore di essere esposte anche da Tiffany nella Fifth Avenue a New York. Cosa c’era di particolare in questo classico sistema di fidelizzazione dei clienti? Nulla se non che si era, ripeto, a 33 anni fa. Profetizzavano prodotti e marketing Jobs e la sua allegra brigata, che non erano partiti, però, come racconta l’agiografia, solo vendendo un vecchio Maggiolino per finanziare il primo progetto, l’Apple I, in un garage ma con 250.000 dollari di Markula, già genio della Intel, oltre, ovviamente, alla loro montagna di neuroni. E io imparavo e bevevo da loro. Tutto. Per poi “italianizzarlo” in una società, quella da cui venivo, che di là a poco diventava in Italia (sorry, addirittura con base a Roma!) la più “grande tra le piccole” nel mondo dei computer. La seconda cosa che voglio (devo) raccontarvi è quella fisicamente legata a Jobs. Dove lo incontro, lui e non gli altri due? Nell’atrio della sede. Emozione? Tanta quando ci racconta come vede il mondo del futuro. Ammirazione? Di più quando ci fa vedere dal vivo quelle cose che anche i più piccoli imprenditori oggi conoscono bene, come il “just in time”, con i Mac che escono dalla catena e vanno direttamente nelle pance dei camion, degli americani trucks pronti a partire per il mondo (e, credetemi, ce n’era anche uno di una Coviello’s trucking company, di cui ancora oggi quanto vorrei, oddio!, conoscerne il mio omonimo proprietario!). Ma anche se avevo, istintivamente, dismesso il camice bianco, appena uscito dalla multinazionale di radar in cui avevo lavorato per occuparmi di quella che era solo in nuce la marea di… computer users, la mia sorpresa fu enorme quando ritorniamo in sede e nelle sale vicine all’ingresso cosa scopriamo? Tanto verde, tavoli da ping pong, pianoforti e … tanti ingegneri che scendono dai loro uffici e leggono o giocano o suonano o … Per fare cosa? Per recuperare creatività nella routine. Oggi lo fanno anche in Google e fino a pochi anni fa era una notizia! Trentatre anni dopo! Nell’estate del 2011, un puro caso prima dell’addio da tempo previsto di Jobs, che ha inventato di tutto e anche la vittoria sul tumore al pancreas (ma solo per due volte e non per la terza, quella letale!), ero tornato negli Usa. Lì i miei figli, allora ventisettenni, facevano i ricercatori, tra i cervelli che emigrano, alla Ucsd, l’university of California of San Diego. Vicini, non solo fisicamente, a Facebook, Google, Yahoo, Amazon. Loro usano ancora oggi, quando si occupano di machine learning, uno in Google, l’altro in Amazon, i nuovi iMac, iPhone, Apple Watch. Quelli che, partendo dalla sua San Francisco, dove anche nel 2011 ho visitato di nuovo i magazzini Macy’s e il Golden Gate, Steve Jobs ha ideato o impostato per un mondo che dal 6 ottobre 2011, lo si usa dire, è più vuoto. Per me di sicuro. E’ dal suo modo diverso di comunicare con gli altri che ha preso una strada diversa la mia attenzione genetica al rapporto con gli altri. Non esagero se dico che senza quell’impatto, e l’effetto a catena avuto nel tempo su di me, oggi anche VicenzaPiù forse non esisterebbe o sarebbe diverso. Sicuramente più piatto. Megalomania? Di Più. Un’inarrestabile curiosità verso quello che avviene. Con occhi sulla nostra provincia, ma non da provinciali, e sulla nostra Italia, con grande amore per le sue province. E una grande voglia di contribuire a quello che avverrà. Grazie Steve. Anche io ti devo qualcosa.