È di queste ore la notizia dello stop imposto, da parte del prefetto e, quindi, del Ministero dell’Interno, alle trascrizioni a Milano di certificati di nascita di alcuni figli delle cosiddette “famiglie Arcobaleno”, cioè coppie omogenitoriali.
La notizia apparsa su Repubblica del 13 marzo riporta che «La misura decisa dal governo riguarda decine di migliaia di famiglie in Italia, centinaia nel capoluogo lombardo: a non poter essere più trascritti sono i piccoli figli di due padri che hanno fatto ricorso all’estero (dove è consentito) alla gestazione per altri (detta anche maternità surrogata) e di due madri che si sono affidate alla procreazione medicalmente assistita (ovvero la fecondazione eterologa che per le copie omosessuali si può fare solo all’estero) e che hanno partorito in Italia. Lo stop non riguarda invece i figli di due madri partoriti all’estero».
«Le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione – ci dice l’avv. Walter Mauriello che abbiamo interrogato al riguardo per conoscere la sua opinione come legale ma anche come presidente di Meritocrazia Italia – avevano evidenziato come il mancato riconoscimento anagrafico dei figli con due padri sia motivato dalla previsione legislativa che stabilisce “il divieto della surrogazione di maternità”, con la conseguenza che, nel caso di due padri, risulta pacifica l’insussistenza di un rapporto biologico con uno dei due genitori (che viene appunto definito intenzionale), perché solo uno dei due può aver donato i gameti per portare a termine, all’estero, il percorso di maternità surrogata vietato in Italia. Ed in tal senso appare rilevante sottolineare come la Corte parli di “genitore intenzionale”, senza fare distinzioni di genere, ragion per cui il divieto varrebbe anche per le donne che non abbiano un rapporto biologico col figlio».
«Nessun riferimento c’è, quindi, nella legge – prosegue Walter Mauriello – all’ormai anacronistico concetto di famiglia tradizionale, ma solo alla tutela della “dignità umana della madre biologica e dell’istituto dell’adozione”, considerando come lo stop disposto dal Ministero non valga, infatti, per i figli nati da due madri, perché entrambe biologicamente legate al nascituro (una dona gli ovuli e l’altra porta avanti la gravidanza».
Ricostruito sinteticamente il merito della questione, al di là di ogni opinione di parte, la vicenda riattiva prepotentemente il dibattito sulla tutela dei diritti civili, sia pur evitando di distorcerne il senso in relazione al contrasto, omofobico o discriminatorio, alla cosiddetta “famiglia arcobaleno”, ma, piuttosto, ancorandone la valutazione in riferimento ai diritti dei minori. E quindi?
«Il punto focale – commenta il presidente di Meritocrazia Italia sul caso dello stop – riguarda il diritto dei bambini già nati, grazie a meccanismi esteri che consentono la maternità surrogata, ad avere il riconoscimento dei certificati di nascita in Italia, così da non essere discriminati rispetto ad ogni altro bambino e non subire le conseguenze di scelte non proprie e di cui non hanno responsabilità né contezza.
Parimenti, non va sottaciuto come il limite alla trascrivibilità sia dovuto all’esigenza di evitare il turismo procreativo, considerando come il divieto di maternità surrogata porti a tentare la pratica all’estero, per poi ottenerne il riconoscimento degli effetti anche in Italia. Un vero e proprio business della procreazione».
Siamo,. quindi, dinanzi ad un problema di enorme portata etica e morale, che però merita di essere affrontato da una prospettiva libera da pregiudizi e ideologie.
«Meritocrazia Italia – chiosa il suo presidente – invoca senso di responsabilità e ricerca di mediazione per intervenire in maniera garantista dei diritti dei minori, abbandonando ogni logica di cieca polarizzazione e strumentalizzazione dell’opinione pubblica, con il solo obiettivo di colmare un pericoloso vulnus al sistema di integrazione europeo. Occorre saper bilanciare l’esigenza di evitare pratiche di mercificazione del corpo lesive della dignità e garantire tutela ai minori, da salvaguardare anche nella continuità dello status (oltre che nelle relazioni), indipendentemente dal Paese di residenza, anche in considerazione di un eventuale consolidamento di una vita familiare di fatto tra il minore e i genitori intenzionali».
Tutte considerazioni di principio condivisibili ma che presuppongono un lungo confronto che potrebbe essere accelerato se ci si allontanasse una volta tanto dalle contrapposizioni aprioristiche partendo da una bozza di legge o anche solo da linee guida su cui ragionare non solo politicamente ma anche col contributo di esperti dei tanti settori coinvolti (etici, religiosi, sociali, legali…) e dei soggetti (padri e madri a vario titolo delle famiglie Arcobaleno) che, comunque, vivono il problema risollevato dalle decisioni del prefetto di Milano.
Per cominciare, ecco la nostra modesta proposta proprio a Walter Mauriello: sia MI, movimento fuori dalle polemiche di contrapposizione tra partiti a caccia, spesso, di un semplice e semplicistico consenso emotivo e, perciò, non duraturo, a delineare una bozza di legge o delle linee guida di un percorso legislativo e, permettetecelo, educativo attento ai diritti di ognuno e, quindi, anche a quelli dei bimbi Arcobaleno.
Questi diritti, però, ecco secondo noi, la prima e basilare linea guida da condividere sulla questione dei figli delle famiglie Arcobaleno, non possono essere ridotti alla libertà di fare quello che ogni singolo individuo vuole ma devono convivere col rispetto dei diritti generali della società, che è tale solo se è un insieme e non una somma di individui.