“Sulla salute ultima parola allo Stato, non alle Regioni”, al prof. Mirabelli risponde l’avv. veneziano Renzo Fogliata: “Annotate, veneti”

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Avv. Renzo Fogliata: salute allo Stato una follia
Avv. Renzo Fogliata

Dalle pagine del Gazzettino del 2 aprile “Prima riforma da fare/ Sulla salute ultima parola allo Stato: non alle Regioni” (articolo riportato in fondo*), il prof. Cesare Mirabelli auspica la centralizzazione della Sanità. Funge da sponda a voci della politica, quali Orlando e Crimi.

Per ragioni di sintesi, non entro nel merito della questione, se non lasciando immaginare ai cittadini veneti quale sarebbe ora la situazione se la loro salute, in quest’occasione, fosse stata nelle mani, anziché della Regione, di un burocrate del Ministero che dirige da Roma.

Mi limito perciò a ricordare che il prof. Mirabelli, insieme al relatore Carlo Mezzanotte, è colui che vergò la sentenza della Corte Costituzionale n. 496 del 2000, che impedì alla Regione del Veneto di svolgere quello stesso referendum che la Corte Costituzionale ritenne poi legittimo nel 2015.

Gli argomenti utilizzati in quella sentenza sono sorprendenti e mortificanti per una democrazia matura: “E’ innanzitutto evidente che laddove il popolo, in sede di revisione, può intervenire come istanza ultima di decisione e nella sua totalità, esso é evocato dalla legge regionale nella sua parzialità di frazione autonoma insediata in una porzione del territorio nazionale, quasi che nella nostra Costituzione, ai fini della revisione, non esistesse un solo popolo, che dà forma all’unità politica della Nazione e vi fossero invece più popoli.  Non è quindi consentito sollecitare il corpo elettorale regionale a farsi portatore di modificazioni costituzionali, giacché le regole procedimentali e organizzative della revisione, che sono legate al concetto di unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.), non lasciano alcuno spazio a consultazioni popolari regionali che si pretendano manifestazione di autonomia“.

Ne consegue che il popolo veneto, insediato sul suo territorio da circa 3500 anni, non esiste.

Questa la levatura giuridica e la qualità democratica del pensiero.

Nella Calabria del prof. Mirabelli non vi è stato alcun referendum, ma in Veneto sì. I cittadini “frazione autonoma insediata in una porzione del territorio” si sono pronunciati. Ed è la stessa Corte Costituzionale che lo ha consentito.

Il nostro, dunque, è portatore di una tesi reazionaria sconfitta dal Diritto e dalla Storia, che altro non è se non politica mascherata da diritto, come è buona parte del diritto costituzionale.

In antico sarebbe prevalso il vae victis (guai ai vinti).

Oggi invece il vinto torna alla carica e propone dalle colonne dei quotidiani nientemeno di levarci e distruggere il nostro fiore all’occhiello: la Sanità veneta.

Annotate, veneti.

Avv. Renzo Fogliata

 

(Il cassazionista Renzo Fogliata, che ho avuto l’onore e il piacere di avere come mio avvocato per un’importante e lunga, oltre che… vittoriosa, questione romana a cavallo della fine del vecchio millennio e dell’inizio del nuovo, e che è ora anche Presidente della Camera Penale di Venezia,  oltre ad aver seguito professionalmente casi molto noti all’opinione pubblica (Serenissimi, fallimento Aeroterminal, Mose) è un venetista convinto, come dimostra un suo accalorato intervento a fine ottobre alla convention di lancio del partito dei Veneti a Padova, ed è un  cultore di storia veneta e del diritto veneto, con alle spalle numerose conferenze e dibattiti. Fogliata vanta anche una lunga esperienza come assistente alla cattedra di diritto penale e di procedura penale a Padova)

 

*Prima riforma da fare/ Sulla salute ultima parola allo Stato: non alle Regioni

Giovedì 2 Aprile 2020 di Cesare Mirabelli da Il Gazzettino, Il Messaggero (stesso editore) 

 

Dalla leale cooperazione al permanente contrasto. Questa contrapposizione non è solo di parole. Segnala la distanza dell’esperienza che viviamo, in questa straordinaria emergenza sanitaria, dall’ideale costituzionale delle autonomie regionali, ed invita a riflettere sui correttivi che sono necessari per rendere coesa, unitaria ed efficace l’azione pubblica, come è necessario per affrontare emergenze che investono l’intero territorio e la comunità nazionale.

Avvertiamo di continuo una latente o manifesta divaricazione tra Governo e Presidenti di regione su provvedimenti adottati o da adottare. A volte il contrasto si è materializzato nella sovrapposizione di decreti o ordinanze con un diverso contenuto sul medesimo oggetto; altre volte basta l’effetto di annuncio, con dichiarazioni effimere destinate ai mezzi di comunicazione. Può accadere ed è accaduto che il Governo si accinga ad adottare un provvedimento, e lo si anticipa con uno regionale più restrittivo.

O che un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri imponga una limitazione alla circolazione o disponga la chiusura di scuole, uffici, fabbriche e attività commerciali, e la determinazione adottata è denunciata da Presidenti di Regione come eccessiva o, all’opposto, troppo blanda a causa delle eccezioni che prevede. Né sono mancate affermazioni regionali di chiusura dei propri confini all’ingresso di cittadini provenienti da altre regioni. Non sorprende, dunque, se ci si esercita, come è diffuso costume, ad attribuire ad altri la responsabilità di carenze proprie, quali quelle che riguardano l’adeguatezza delle strutture ospedaliere e la capienza dei reparti dedicati alle malattie infettive ed alla terapia intensiva, come pure se si denunciano gravi manchevolezze nella fornitura e distribuzione di apparecchiature e dispositivi sanitari, di mascherine e materiali d’uso per prevenire il contagio.

Eppure ricorre spesso la assimilazione alla guerra del contrasto ad una così grave epidemia, mentre nessuno si sognerebbe, in una guerra, di avere una pluralità di centri di comando che danno disposizioni contrastanti a unità operative le quali, sul campo, fronteggiano l’emergenza al meglio, nelle condizioni date. In quest’ultima situazione operano i medici, gli infermieri, il personale che si prodiga generosamente ed efficacemente nella cura degli ammalati, senza recriminazioni e lamenti per le inadeguatezze che hanno esposto molti di loro al contagio.

Le difficoltà dovute alla novità ed alla dimensione dell’emergenza sono evidenti. Lo mostra la situazione sanitaria nella Regione Lombardia, la più ricca e avanzata, con la spesa sanitaria pro capite tra le più elevate, eppure quella con le maggiori difficoltà, anche organizzative, e che non potrebbe fronteggiare la crisi senza l’intervento essenziale dello Stato. Se ne trae un insegnamento che sembra archiviare la spinta verso una autonomia differenziata che accresca le attribuzioni regionali.

Prendere atto che esiste una dimensione dei problemi che richiede l’esercizio di poteri unitari da parte dello Stato non significa essere accentratori e contrari alle autonomie, quanto piuttosto avere una concezione corretta del principio di sussidiarietà nella articolazione delle istituzioni e nella ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. La costituzione stabilisce che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. Questo principio fondamentale non è in discussione. Tuttavia sono da riesaminare le modalità dell’attuazione che ne è stata data con la riforma costituzionale del 2001. È adeguato il modello che considera la tutela della salute materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni? Quali attribuzioni possono essere più efficacemente esercitate dallo Stato? In situazioni di emergenza come può lo Stato riassumere ed esercitare poteri altrimenti attribuiti alle Regioni? Sono questioni che è un dovere approfondire e risolvere appena sarà cessata l’emergenza.