Una “tagliola politica” imposta dalla Lega sta per abbattersi sull’emendamento presentato alla legge di Bilancio dal parlamentare 5 Stelle, Adriano Varrica. Che propone, senza tanti fronzoli, l’abolizione dei finanziamenti all’editoria. Proprio come annunciato, giusto un mese fa, dal sottosegretario all’editoria Vito Crimi. Indicazioni, euro più euro meno, tutte contenute nell’emendamento materializzatosi d’improvviso all’esame della commissione Bilancio di Montecitorio: sì al sostegno a progetti finalizzati a diffondere la comunicazione partecipata e l’innovazione digitale, ma da subito taglio al contributo per le imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di informazione di interesse generale (Crimi aveva esplicitamente citato Radio Radicale)
Via anche i rimborsi per le spese telefoniche per i giornali (che il sottosegretario aveva quantificato in 32 milioni); contributo diretto alle imprese editrici di quotidiani e periodici editi da cooperative ridotto al 10%, come pure ridotto all’osso il rimborso per copia-vendita. Nel testo non si fa riferimento al risparmio atteso che, sempre secondo quanto annunciato, dovrebbe attestarsi a quota 100 milioni entro il prossimo anno. I giornali più colpiti potrebbero essere Avvenire, Libero, Il manifesto e Il Foglio. Insomma una vera rivoluzione. Arrivata insolitamente in sordina per mano di un deputato di cui tra i corridoi di Montecitorio sono in molti a chiedersi che faccia abbia nonostante con un colpo solo abbia scatenato le furie di tutti: dalla Federazione nazionale della stampa, ai settimanali diocesani passando per i quotidiani della minoranza slovena. Ce n’è abbastanza per credere che in realtà il Movimento 5 Stelle abbia voluto sondare il terreno per comprendere quale sia la praticabilità politica del progetto, che resta una bandiera per i pentastellati. Con quali effetti? “Quell’emendamento è irricevibile” dice al Fatto, Alessandro Morelli giornalista ed ex editore di una società cooperativa che per la Lega sta trattando da settimane il dossier editoria. Mentre la tensione nel settore monta: la Fnsi già parla di una protesta nazionale, forse di uno sciopero generale. Il Pd promette battaglia contro la sforbiciata dopo aver incontrato una delegazione della Federazione Italiana Settimanali Cattolici. Si è fatta sentire anche la seconda carica dello Stato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che in messaggio all’Unione periodici italiani ha parlato delle “gravi conseguenze” che i tagli determinerebbero sull’occupazione e sul pluralismo. Ma a suonare i tamburi di guerra è soprattutto la Lega, l’unico soggetto in grado di impensierire i 5 Stelle. “L’emendamento Varrica è una ghigliottina e non passerà: finirà nel cassetto dei sogni del suo estensore” dice Morelli che per conto della Lega tratta con il sottosegretario all’editoria, Vito Crimi. “Certo, lui vorrebbe un taglio lineare ai contributi pubblici e su alcuni di essi si può anche ragionare. Ma per noi è prioritario ragionare su come usare le risorse: è fondamentale colmare il ritardo tecnologico di settore tutelando così un interesse pubblico primario qual è quello all’informazione. E preservando il servizio svolto dalle testate locali. Conto di rivedere Crimi la prossima settimana”. Insomma per ora le posizioni restano assai distanti. E l’impressione è che l’ultima parola, come suggerisce il presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi spetterà ancora una volta a Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
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