A inquinare i rapporti sociali è spesso il desiderio di evidenza, di primeggiare almeno nell’apparenza, non necessariamente anche nelle abilità. Per ‘essere il migliore’, bisogna anzitutto essere soli. Il rapporto con gli altri è mero strumento al fine dell’esaltazione del proprio io.
La campagna elettorale in corso riflette l’individualismo diffuso.
Tanti politici di lungo corso accusano il colpo di non aver trovato il giusto spazio, ritenendosi un’alternativa necessaria, una presenza imprescindibile. Altri vivono la competizione senza regole tra chi mette sul banco la merce più lustra. Chi ha lavorato con cura, per anni, al proprio orticello lo presenta oggi come un fertile campo di grano a disposizione della collettività.
Eppure va ricordato che i cambiamenti sociali sono sempre stati merito di persone comuni e impegnate, non inclini alla ribalta, che hanno saputo coltivare il pensiero con il dialogo, il confronto e l’approfondimento, e di costruire una comunità capace di vivere bene nella condivisione.
Per fare la Rivoluzione, o, semplicemente, per fare la propria parte, non serve per forza prendere parte alla corsa elettorale.
Viviamo un sentimento di continua insoddisfazione. Ci lasciamo travolgere emotivamente per cose di poco conto. Ci affanniamo per conquistare un ombrellone in prima fila, occupare il posto auto più vicino, o spuntare una prenotazione nel ristorante più glamour. E poi scegliamo di spendere poche energie nella scelta dei nostri rappresentanti, ai quali affidiamo con leggerezza il presente e il futuro. Senza studio, senza adeguata riflessione, accontentandoci della versione della realtà raccontata dai mass media.
Con la stessa leggerezza abbiamo approvato una riforma parlamentare incompleta, limitandoci all’operazione populista del taglio delle poltrone. La modifica della legge elettorale è rimasta promessa non mantenuta. E così, in nome della lotta alla casta, abbiamo finito per dare all’élite ancora maggior potere. A beneficio del lobbismo. Con sacrificio delle opportunità di confronto culturale.
Ha difficoltà ad attecchire oggi il repubblicanesimo, perché siamo stati abituati a essere lasciati soli, pronti a rivendicare diritti e dimentichi dell’importanza dei doveri. Questo approccio alimenta il circolo vizioso della diseguaglianza e del disagio.
Si pensi al paradosso delle democrazie del sud America, di quelle più verticistiche, che concentrano il momento organizzativo nella leadership. Il Venezuela era riuscito a raggiungere una certa parità sul piano sociale, ma riferiva al Presidente il potere di fare e disfare, senza alimentare l’interesse civico alla cosa pubblica, senza desiderio di crescita culturale, senza saper dar valore a eccellenze e talenti, e senza aiutare ciascun cittadino a scoprire il proprio fondamentale ruolo della società.
Con questo voglio dire che non basta puntare al(lo pseudo) livellamento economico attraverso l’assistenzialismo per creare benessere. Non è in questo l’equità sociale della quale tanto si avverte la mancanza e la necessità.
Equità sociale vuol dire pari distribuzione delle possibilità di scelta consapevole. E la consapevolezza è sempre nella diffusione della Cultura.
Nel gioco di forza tra partiti, rivolto al cambiamento delle maggioranze e alla creazione di nuovi Governi, a perdere è sempre il Popolo.
La svolta che serve oggi non è nella individuazione del migliore, ma nella selezione delle idee, nella capacità di resistere alle lusinghe dell’evidenza e di rinunciare all’affermazione dell’io.
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Fonte: LA SVOLTA NON È NELLA SCELTA DEL MIGLIORE, MA NELLA SELEZIONE DELLE IDEE