Diminuzione dei tassi all’orizzonte con l’inflazione che gli indicatori danno in discesa e prospettive migliori per le economie. Anche oggi Il Sole 24 Ore si occupa dell’argomento, dopo che ieri aveva reso le parole di Piero Cipollone, membro del comitato esecutivo della Banca centrale europea, circa un ipotizzabile allentamento sui tassi nei prossimi mesi.
Oggi, in un articolo di Carlo Marroni, questa circostanza viene posta come condizione essenziale per la sopravvivenza di molte aziende. Al contrario, in caso di mosse in senso contrario da parte del consiglio della Bce, si dovrebbero fronteggiare conseguenze negative per l’economia.
Nelle pagine de Il Primo Piano del quotidiano si legge: “L’Istat, nel XII rapporto sulla competitività dei settori produttivi, è chiara: in caso di mantenimento del costo del denaro ai livelli del 2022-23 (solo lo scorso anno sono state sei le decisioni al rialzo da parte di Francoforte) almeno un quarto delle 800mila imprese italiane – soprattutto nel terziario – andrebbe in sofferenza. In particolare si potrebbe assistere ad un passaggio nella zona definita “a rischio”, o addirittura “fortemente a rischio”, invertendo di fatto un processo che aveva visto le società di capitali irrobustirsi decisamente nel periodo 2011-2022.
La maggior parte di queste aziende a rischio (il 19,7 per cento) nel 2022 presentava una struttura patrimoniale non sostenibile. Infatti i tassi alti hanno già messo a dura prova le imprese: l’inasprimento della politica monetaria ha provocato, dal 2022 e per tutto il 2023, un diffuso peggioramento delle condizioni di finanziamento per le imprese manifatturiere (a fine 2023 la quota di chi lo segnalava era cinque volte più elevata rispetto al periodo 2015-2019), in particolare a causa dell’aumento dei tassi d’interesse, che ha aumentato anche i casi di “domanda scoraggiata”: a fine 2023 quest’ultima spiegava oltre la metà dei casi di mancato ottenimento del credito”.
Viene citato il Rapporto sulla competitività dei settori produttivi dell’Istat per estrapolare i fattori che hanno determinato le principali difficoltà all’economia industriale italiana, tra le quali la recessione in Germania che è il principale partner commerciale italiano.
“Gli effetti della contrazione della domanda tedesca – si legge – investono settori e imprese in misura differenziata. La caduta di valore aggiunto più ampia si sarebbe riscontrata nella Manifattura (-0,6 per cento), a riflesso in primis del peso preponderante del comparto sull’export nazionale (oltre l’80 per cento nel 2021). Gli effetti sui singoli settori risentono delle peculiarità dei rispettivi sistemi esportatori: l’impatto è sul valore aggiunto della metallurgia, in particolare per le pmi e per quelle con un grado medio di coinvolgimento nelle GVC (le catene del valore). In sofferenza risultano anche le medie imprese di chimica e farmaceutica, e le multinazionali a controllo italiano nel comparto degli apparecchi elettrici. Del resto nel 2023 la Germania rappresentava il principale mercato di destinazione per le quantità esportate di questi settori, con una quota in crescita (esclusa la Farmaceutica) rispetto al 2019″.
Fonte: Il Sole 24 Ore