Si fa presto a dire «ricapitalizzeremo le banche, se necessario». Perché oltre a capire su quali spalle peserebbero le eventuali iniezioni di patrimonio rievocate nelle ultime ore in modo diverso dai due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, se non su quelle degli azionisti, bisognerebbe ricordare che le banche e i loro soci hanno già dato molto su questo fronte. Colpa della crisi, certo, ma anche per colpa dello spread Btp-Bund che insieme a tassi di crescita economica asfittici ha fatto letteralmente esplodere la bomba dei crediti “malati” di cui si sono ritrovate gonfie le banche.
Solo nel 2017 i principali istituti italiani hanno fatto ricapitalizzazioni per ben 22,6 miliardi, secondo i calcoli di Mediobanca. Dall’inizio della crisi del 2008, la montagna di risorse chieste al mercato sale a 72 miliardi. Un importo pari a due terzi (66%) della capitalizzazione di fine settembre scorso. Di fronte a questi numeri viene quasi da dire che non sono poi molti 6 miliardi di patrimonio (vale a dire il Cetl, cioè il capitale di migliore qualità delle banche sotto il faro della Vigilanza Bce) bruciato dal settore bancario da maggio. Perché tanto valgono, secondo valutazioni del Credit Suisse, quei 200 punti “guadagnati” dalla fine di aprile dal differenziale (che ieri ha chiuso a 309). Per ogni 100 punti di aumento, dicono gli analisti, il capitale “sensibile” si riduce di circa 35 punti, vale a dire poco più di 3 miliardi. Certo, non vuol dire che se ci sono 6 miliardi in meno di patrimonio, ne serviranno altrettanti da iniettare nelle banche. Perché quelle con le spalle più larghe, nonostante la svalutazione dei Btp in portafoglio e degli Npl da cedere, hanno cuscinetti sufficienti per dormire sonni tranquilli. Ma se questi livelli di spread diventassero strutturali e non sono passeggeri, come teme qualcuno, se davvero ci si avvicinerà anche a quota 350 sull’onda dello scontro con l’Ue, allora sì che qualche banca più fragile dovrà tenerne dolorosamente conto. I riflettori sono puntati soprattutto su Banca Carige e Mps. Ma a guardare le scommesse al ribasso della speculazione, c’è anche altro cui guardare. Sempre secondo Credit Suisse, gli short sellers, cioè i venditori allo scoperto, hanno preso di mira negli ultimi mesi le banche di medie dimensioni con un elevato flottante. E dunque la banca più venduta allo scoperto in Europa risulta essere Banco Bpm, seguita da Bper e Ubi, ben più vendute anche delle greche. Non solo. In quasi 8 mesi l’intero sistema bancario italiano ha visto bruciare in Borsa oltre 40 miliardi di valore. Insomma è come se fosse evaporata in un colpo solo una banca delle dimensioni di Intesa Sanpaolo. Di questo si è parlato nel corso dei colloqui di questa settimana con i tecnici Ue, di esponenti del governo e di Bankitalia. Anche perché il2 novembre c’è l’appuntamento con i nuovi stress test della Bce. E non è affare da poco.
LE OPZIONI
Dunque, siccome le parole pesano, il mercato guarda con curiosità non senza scetticismo ai «tanti modi per ricapitalizzare le banche» evocati da Di Maio, dopo che Salvini aveva fatto intendere che fosse pronto un paracadute pubblico ad ampio raggio. Ieri di nuovo. «Nessuna banca salterà: il governo le difenderà», ha puntualizzato Salvini, che non esclude eventuali fusioni. «Hanno un senso economico, dunque perché no?». Ma attenzione, «sostenere le banche non significa prendere soldi agli italiani», ha chiarito subito Di Maio mentre la Borsa assisteva basita all’ennesimo crollo delle banche in attesa del verdetto di S&P sull’Italia. Come può intervenire il governo? Il nodo da sciogliere comunque non è semplice. Anche perché in questo quadro non sembra percorribile il vecchio “fondo salva-banche” creato dal governo Gentiloni-Padoan per intervenire su Mps prima e sulle banche venete poi (meno di 15 miliardi). Non può essere utilizzato nel 2019, anche perché le risorse sono tutte impegnate e a fine anno quello che rimane andrà, con apposito decreto ministeriale, destinato al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Se dunque il governo volesse mettere in campo un intervento simile per supportare eventuali nuovi istituti in difficoltà dovrebbe partire da zero, trovando le risorse necessarie e, soprattutto, un accordo con l’Europa. Secondo gli analisti di Equita, il framework normativo da utilizzare per le banche potrebbe essere quello della ricapitalizzazione precauzionale evitando il bail-in con il ricorso alla direttiva europea BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che consente di far fronte a deficit patrimoniali risultanti dallo stress test degli istituti greci. «Bel risultato – commentavano ieri alcuni analisti – hanno tanto criticato chili ha preceduti con il caso bail-in e adesso, non paghi di aver provocato questa bagarre, evocano soluzioni alla greca».
di Roberta Amoruso, da Il Gazzettino