La crisi di Tesla mette a rischio l’alleanza tra Trump e Musk

Le politiche tariffarie dell'amministrazione americana non aiutano l'azienda di Elon Musk a risollevarsi, ma forse anche un Ceo che fa il saluto nazista è parte del problema.

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Tesla

I dazi promessi e messi in atto da Trump paiono avere una conseguenza inaspettata (e negativa) per il presidente americano. Infatti, sono proprio loro la causa di dissapori tra The Donald e Elon Musk, il patron di Tesla che ha finanziato con ben 119 milioni di dollari la sua campagna presidenziale.

La crisi di Tesla, in borsa e nelle vendite

Tesla è in crisi da un po’, con le vendite che nel 2024 sono calate del 4% rispetto al 2023. In Europa le ultime sparate di Musk non sono state apprezzate e le vendite sono diminuite del 76% in Germania, del 42% in Svezia e del 45% in Francia, solo dall’inizio del 2025. Anche in Cina l’azienda non se la passa bene, dove ha subito un crollo del 49% delle vendite. E come se non bastasse, lunedì è arrivata l’ennesima batosta, con un crollo azionario del 15%, il più elevato degli ultimi 5 anni (dal 17 dicembre il titolo ha perso il 50% del suo valore). Ma d’altronde, se è vero che Tesla era già in crisi, il crollo di lunedì è legato anche alle politiche dell’amministrazione Trump. 

La guerra dei dazi che danneggia sia import che export 

Tanto è vero che, proprio la casa automobilistica americana martedì ha inviato una lettera all’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti, per rendere noto il rischio di ritorsioni dovute alla guerra dei dazi messa in atto dall’amministrazione statunitense. La preoccupazione di Tesla, che riflette quella di altre aziende statunitensi, è sull’impatto negativo che le politiche tariffarie potrebbero avere sugli esportatori americani, innescando una spirale di aumenti dei dazi sui veicoli elettrici importati. “Gli esportatori statunitensi sono intrinsecamente esposti a impatti sproporzionati quando altri paesi rispondono alle azioni commerciali degli Stati Uniti”, è quanto scritto da Tesla nella lettera (non firmata). “Ad esempio, le passate azioni commerciali degli Stati Uniti hanno portato a reazioni immediate da parte dei paesi presi di mira, tra cui un aumento delle tariffe sui veicoli elettrici importati in quei paesi”. 

La discesa in politica di Musk

C’è poi da non sottovalutare l’impatto che la discesa politica di Musk ha avuto nelle vendite. Un Ceo che fa il saluto nazista in diretta tv forse non è il migliore dei volti possibili per rappresentare un’impresa. A sostegno dell’ipotesi che la sua discesa in campo abbia rovinato l’immagine della sua azienda ci sono le diverse proteste che stanno prendendo piede in questi giorni, dalle occupazioni negli showroom ai clienti pentiti che rimuovono i loghi o attaccano adesivi con scritto “l’ho comprata prima che Musk diventasse pazzo”.

L’unico alleato di Musk forse non aiuta

Di più, Trump ha mostrato un forte appoggio verso Tesla, dichiarando di aver acquistato personalmente un’auto elettrica e definendo Musk un “vero patriota”. Dopodiché ha minacciato su Truth social – il social personale che si è creato dopo essere stato bandito da Facebook e Twitter nel 2020 – i manifestanti che protestano davanti agli showroom Tesla. “Dovrebbero essere considerati terroristi, vi prenderemo e passerete le pene dell’inferno” ha scritto. Forse non il modo migliore per calmare le acque.

La strategia di Musk e la ricerca di nuove alleanze

Di fronte a questo scenario, Elon Musk ha rilanciato manifestando l’intenzione di raddoppiare la produzione di Tesla negli Stati Uniti, per cercare di rafforzare il mercato interno riducendo la dipendenza dalle esportazioni. Una mano poi è arrivata da Israele, che sarebbe interessata all’acquisto i veicoli elettrici per i funzionari governativi, una notizia confermata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu su X.