Tibi gratulor, mihi gaudeo; te amo, tua tueor; a te amari et, quid agas quidque agatur, certior fieri volo.
“Con te mi congratulo, per me sono contento; ti sono vicino, ho cura delle tue cose; ti chiedo di volermi bene e di farmi sapere che cosa fai e che cosa succede”.
Cicerone, Ad Familiares.
Quando Cicerone inviò una lettera a Lucio Minucio Basilo, uno dei cesaricidi, per congratularsi dell’assassinio di Cesare, forse non immaginava di prendere una posizione che lo avrebbe, in breve tempo, condannato a morte. D’altronde, così facendo creò una frattura che sarebbe divenuta insanabile con Marco Antonio, luogotenente e magister equitum di Cesare; una distanza che, consapevolmente, lo stesso Cicerone continuò ad accrescere tramite una serie di dichiarazioni e schieramenti che inasprirono definitivamente i rapporti tra optimates (aristocratici conservatori) e populares (la magistratura che faceva gli interessi dei ceti popolari).
Una volta inserito nelle liste di proscrizione, l’oratore fu costretto a fuggire da Roma, rifugiandosi nella sua villa di Formia; ma tutto questo non fu sufficiente. Raggiunto dai sicari, si arrese, rassegnandosi alla sorte: il luogo in cui venne decapitato prese simbolicamente il nome di Vindicio (da vindicta), frazione ancora attuale della città: e, in effetti, la vendetta fu durissima. Per ordine di Marco Antonio, infatti, Cicerone perse anche le mani (c’è chi dice solo la destra, quella con cui scriveva).
Le parti del corpo mozzate vennero addirittura appese ai rostri che si trovavano sulla tribuna da cui i senatori tenevano le orazioni, come monito per gli oppositori del neo secondo triumvirato (quello tra Ottaviano Augusto, Marco Antonio e Marco Emilio Lepido). Era il 43 a.C.
Ma venne, poi, sepolto quel corpo martoriato?
Quello che si sa per certo è che Augusto si pentì di quanto accaduto, tanto da prendere sotto la propria ala protettiva il figlio di Cicerone, Marco, facendo in modo che diventasse prima augure (un particolare sacerdote che interpretava la volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli), poi console e, infine, proconsole.
Un mausoleo dedicato al filosofo c’è, e si trova proprio a Formia. Ma la sua attribuzione è ancora dubbia.
Il Mausoleo di Cicerone – La Tomba di Cicerone si trova sulla Via Appia, in zona Acervara e a due passi da Vindicio, e caratterizza in maniera importante la città di Formia.
Uno degli indizi che confermerebbe l’attribuzione al filosofo romano – poiché manca del tutto il titolo epigrafico – è proprio l’ubicazione: in zona, oltretutto, sorge una delle sue maestose ville. Le dimensioni del monumento sono decisamente imponenti, e anche questo elemento suggerisce qualcosa. Alta oltre 24 metri e con una base quadrata di 18 metri, la costruzione si configura come una torre cilindrica ad anelli di pietra, un tempo probabilmente ricoperta da lastre di marmo. All’interno, una cella funeraria circolare coperta da una volta anulare, sei nicchie perimetrali ed un grosso pilone in pietra: è possibile che, in passato, vi fossero anche oggetti e statue a corredo. Il sito appare ancora più maestoso perché vede un lato lungo l’Appia di ben 80 metri nel quale sono inglobate due porte, di cui una dal sapore decisamente greco. L’opus incertum del muro perimetrale si “tuffa” nei basoli calcarei che pavimentano il tratto dell’Appia, quasi ad inoltrarsi verso la costa di Vindicio, in uno scenario che crea un’atmosfera ed un fascino che non meraviglierebbe incornicino il sepolcro del più grande oratore di tutti i tempi.
A circa 100 metri in linea d’aria, in collina, sorge anche la Tomba di Tulliola, attribuita a Tullia, la figlia di Cicerone scomparsa prematuramente.
Nonostante tutti questi elementi, c’è chi ritiene più che plausibile che il corpo del filosofo sia stato trasferito e sepolto a Roma.
Un reperto all’interno di una proprietà privata – L’Italia è così ricca di tesori che, spesso, ancora oggi li ritroviamo “incastrati” in qualche proprietà privata che ne ostacola la fruizione pubblica. È successo anche con la Tomba di Cicerone, fino agli anni ’30 visitabile solo da privati cittadini ed acquisita pubblicamente soltanto molto tempo dopo attraverso un’articolata operazione di esproprio. Il circondario, infatti, era tutto un grande orto e, all’interno della struttura funeraria, sorgeva un ricovero di animali usati come mezzi di trasporto… sembra che il sepolcro di Cicerone sia stato a lungo la casa di un asinello. Una notizia arrivata persino sul Chicago Tribune per mano di un giornalista americano.
L’intera procedura durò circa 3 anni e si concluse il 30 Agosto 1938, grazie agli sforzi del Direttore del Museo Archeologico di Napoli, Amedeo Maiuri, del Podestà di Formia, Felice Tonetti e del suo successore Tito Rubino, dell’ispettore onorario di Formia, Mario Di Fava, e del Ministro Pietro Fedele.