L’Isola Tiberina rappresenta già di per sé una piccola eccezione visto che non sono così numerose le isole fluviali in Italia e nel mondo. Ma c’è un dettaglio insolito e un po’ inquietante in una delle edificazioni che sorgono sul suo territorio che non tutti colgono al primo sguardo: una testa di donna incastonata tra le mura della Torre Caetani detta, per questo, anche Torre della Pulzella.
La Torre (dei) Caetani – Quella dei Caetani è stata un’importantissima famiglia nobiliare gaetana (i cui eredi vivono ancora nel nostro tempo) che ha influenzato e dominato la storia antica al punto da vedere tra i propri componenti persino un papa (Bonifacio VIII, apertamente contrastato da Dante). La stessa città di Gaeta, nei secoli passati, ha vissuto fasti che oggi sembrano lontanissimi: è stata una Repubblica Marinara e veniva chiamata la “piccola Venezia del Tirreno”; ed è per questo che ritroviamo tantissimi riferimenti che ricordano queste antiche glorie anche fuori dai suoi confini. Uno dei tanti, proprio la torre che sorge sull’Isola Tiberina, nei pressi dello sbocco del millenario ponte dei Quattro Capi (62 a.C.), che è diventata protagonista di una leggenda.
Secondo alcuni documenti del XII secolo, in realtà, la struttura sarebbe inizialmente appartenuta ai Pierleoni, nobile famiglia di origine ebraica, parte del gruppo delle famiglie baronali romane. Versione che avrebbe senso, visto che i Pierleoni avevano fatto dell’isola una fortificazione.
Agli inizi dell’anno Mille, durante le lotte aristocratiche, le sue stanze funsero persino brevemente da sede pontificia. Ospitarono, infatti, due papi in fuga: papa Vittore III (1078, per sfuggire all’antipapa Clemente III), insieme alla potentissima feudataria Matilde di Canossa, e papa Urbano II (1088).
Nonostante questi trascorsi importanti, com’è accaduto a tante torri e fortificazioni, il complesso venne abbattuto (XIII secolo) per volere degli Angioini. Il motivo reale? All’epoca la struttura rientrava tra i possedimenti dei loro avversari, la famiglia dei Di Vico, che sull’Isola Tiberina avevano il quartier generale.
Non restava molto di questa bella torre quando rientrò tra le proprietà dei Caetani: si resero necessari importanti lavori di ristrutturazione e riedificazione, ma ne valse la pena. Alla fine, la neo Torre Caetani diventò una sontuosa residenza nobiliare. Ma la fortuna era destinata ad esaurisi, anche stavolta. I Caetani si trasferirono altrove a causa delle continue alluvioni del Tevere: dal 1638, il cardinale Francesco Barberini concesse complesso residenziale e torre ai Padri Minori Osservanti che già frequentavano l’Isola avendo per sé, da un secolo, la vicina chiesa di San Bartolomeo (a cui la torre era stata collegata proprio nel contesto dei lavori di restauro). Fu così che l’ex fortificazione baronale (passata anche per le mani dei Savelli, antichissima e importantissima famiglia feudale) ed ex residenza nobiliare si trasformò in un convento. Quando nel 1656 imperava la peste, la struttura venne persino impiegata per l’assistenza ai malati guadagnandosi l’appellativo di “lazzaretto brutto“.
L’ultimo step avvenne nel 1876, quando il primo ed il secondo piano vennero acquisiti dal Comune, insieme a gran parte dell’edificio che venne dato in concessione all’Università israelitica.
La Torre Caetani che vediamo oggi è tutto ciò che resta di un antico complesso di edifici sorti, in successione, nell’arco di quattro secoli. Realizzata in laterizio, presenta tre ordini di antiche finestre e parte delle mostre in marmo.
La leggenda della pulzella – Non tutti ci fanno caso ed è un dettaglio che, in effetti, non salta subito all’occhio, ma tra le file ben ordinate di mattoni che innalzano la torre verso il cielo c’è una piccola nicchia che ospita una testa femminile in marmo. All’altezza del primo ordine di finestre, questo simbolo è diventato parte della leggenda popolare perché nessuno sa, con esattezza, a cosa si riferisca.
Tradizione vuole che quello sia un omaggio al volto di una giovane nobile romana, rinchiusa nella Torre Caetani nel 1350 per aver rifiutato un matrimonio combinato con un uomo molto più anziano. La ragazza avrebbe speso la sua intera vita a guardare il mondo dalla finestra, aspettando di veder tornare il suo amato sano e salvo dalla guerra. Senza rendersi conto del tempo che passava. E così, sarebbe rimasta lì, “impietrita” dall’eterna attesa di un ritorno mai avvenuto.
Quello che si sa per certo è che quell’affascinante volto scolpito nel marmo con lo sguardo rivolto verso il ponte è di epoca romana, databile al I secolo d.C. La leggenda, quindi, affonda le radici in un periodo storico assolutamente falsato e farcito di dettagli fantasiosi che, però, poco ci dicono realmente di questo singolare e intrigante mistero.