Tra un bicchiere e l’altro a Vinitaly un Di Maio, il “vicentino” Giuseppe, incontra il parente doc, Luigi… espresso dal popolo però

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I treni sono pieni, le navette di servizio sono gratuite e stracolme. Uno dei giardini d’Occidente ha suonato l’ora d’apertura. Mentre parafraso Cyril Connolly, Verona ha aperto la sua fiera. I piazzali di fronte allo sbocco di viale dell’Agricoltura sono pieni, dagli ingressi Cangrande e San Zeno la folla è immensa, da stadio, delle grandi occasioni politiche o sindacali. Un gruppetto molto vivace di FN ha sciolto uno striscione: Con Putin e con Assad, l’Italia fuori dalla NATO. Mi faccio spazio tra la folla con un po’ di sofferenza, ma finalmente mi vengono a prendere.

 


Sono di servizio, come espositore. Non ho tempo di fare un giro panoramico nelle vigne d’Italia, prendo posto nel padiglione B, il mio, dove l’Irpinia ha occupato quasi tutto lo spazio della regione Campania. Un po’ di tempo per acclimatarmi negli spazi dei commerci assegnati e predisposti dall’Ente Fiera, e ordinati in forma ortogonale come le vie di una Pompei fatta solo di mercanti.

Noi siamo proprio su via dell’Abbondanza, per dire, e nella via principale il primo a passare è De Luca, il presidente della Regione, non senza un discreto moto di ostilità, piccolo, col naso enorme che precede il ghigno della faccia sorridente. Non riesco a trovare subito la macchina fotografica, ma sì: chi se ne frega! Se lo sta cuccando la responsabile della Tenuta che pare felice di averlo intercettato.

Poco dopo, sempre in via dell’Abbondanza, si fa avanti un gruppetto alla chetichella: il democristiano Rotondi si tira dietro altri due parlamentari, facce conosciute ma destinate all’oblio; e poi io non abito più la regione da un quarto di secolo. “Gianfranco, vieni qua, assaggia un aglianico. Ti ricordi dei tempi di Proposta ’80?” Sorriso delle grandi occasioni, il gruppetto è felice di essere stato riconosciuto. Foto, tante strette di mani, e un poco di vino per augurio.

Anch’io sono parlamentare“, dice un viso familiare. “Ma io non abito più ad Avellino, abito a Vicenza, magari mi sfugge.” ” Mi chiamo De Luca“, anche lui “e venivo eletto qua in Veneto.” “Ah sì, infatti…” Altre foto e strette di mani. Sicché in fondo alla via s’ode la concitazione di una ressa. Servizio d’ordine, molta folla, tanti flash, e macchine da presa. Dicono che c’è Di Maio, ma non riesco a vederlo. Quando è nei pressi del mio stand, si apre un corridoio nella calca, e lo chiamo: “Luigi, vieni a farti un Taurasi” Lui è solerte, sorride quasi felice. “Sono Giuseppe Di Maio, caro parente, un attivista di Vicenza. Come avellinese non puoi esimerti da un assaggio“. Esclamazioni per vari apprezzamenti, e un caratterino alquanto vivace, vigile. E foto e abbracci. Tanti, che mi sfugge la presenza dei padroni di casa Jacopo Berti e Mattia Fantinati. Quando sciama il numeroso servizio d’ordine dietro al possibile futuro Presidente del Consiglio, un microfono di La7 mi si pianta sotto il becco per sapere che cosa mi fossi detto con Di Maio. E istintivamente non mi fido, calibro le parole: parlo della clinica in cui è nato, la stessa dove erano nati i miei figli. Poi mi chiedono se la mia allegrezza ha a che vedere con la politica del nuovo corso di Di Maio, ma io rispondo che la mia felicità è semplice, e nasce dalla certezza che il mandante della missione democratica questa volta è veramente il popolo, e lui, Di Maio, ne è la voce. Verso le cinque sono cominciati i cori. La me morosa vecia passava dal padiglione refosco e filtrava tra le frasche dell’aglianico fino alla più compassata Lombardia che ci stava di fianco. Le navette hanno ricominciato a traghettare. Domani (oggi per chi legge, ndr) si ricomincia. Domani è giornata di ambasciatori, di commercianti che portano, dal paleolitico in poi, e come avrebbe potuto raccontare un Diodoro Siculo, le ambrosie italiche oltre i passi del Brennero e del San Bernardino.
Cordialmente
Giuseppe Di Maio