Trasporti e Ambiente, Meritocrazia Italia: una sfida globale per una logistica sostenibile

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In ogni Società, la qualità della vita dipende anche dalla capacità di predisporre un sistema di trasporti efficiente e accessibile. Allo stesso tempo, però, i trasporti rappresentano una delle principali fonti di pressione ambientale, contribuendo ai cambiamenti climatici, all’inquinamento atmosferico e acustico, al consumo energetico, all’impermeabilizzazione dei terreni e al consumo di suolo agricolo. Alcune tra le principali cause della frammentazione degli habitat naturali –  Meritocrazia Italia (qui le altre note su ViPiù.it dell’associazione, ndr) -.

Si tratta di una delle sfide più difficili del presente.

A fronte di qualsiasi problema, si è soliti immaginare tre tipi di soluzioni con difficoltà crescenti: una soluzione tecnologica (applicazione di tecniche risolutive), una organizzativa (riprogrammazione degli obiettivi e metodi) e una formativa (cambio dei comportamenti).

Per la crisi ambientale, si punta molto sulla prima.

In Europa, autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70% delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti e la quota restante proviene principalmente dal trasporto marittimo e aereo.

Gli inquinanti atmosferici, come il particolato (PM) e il biossido di azoto (NO2), procurano danni rilevanti all’ambiente e alla salute umana.

Così anche l’Italia ha da anni introdotto importanti restrizioni sui livelli di emissioni consentiti, ma, a fronte di una riduzione dei gas di scarico e di una maggiore efficienza dei motori, le concentrazioni di inquinanti atmosferici sono ancora troppo elevate.

Ciò perché occorrerebbe, parallelamente, una riorganizzazione logistica del territorio.

I settori del trasporto sono molte volte ridondanti negli scali, in competizione solo economica e non di servizio sulle tratte. Altre volte, non si integrano. Si trovano ancora stazioni, aeroscali e autoporti mal collegati. L’intermodalità è rimasta un proposito non realizzato e, quando attuata, coinvolge solo due vettori (treno-camion, nave-camion)

Con il cattivo funzionamento della rete ferroviaria italiana degli ultimi vent’anni:

– nel trasporto di persone, manca la pianificazione delle coincidenze, e, investendo tutto sull’alta velocità, si è riusciti a far concorrenza ai voli aerei, ma è rimasto indietro il sistema dei treni a lunga percorrenza;

– nei servizi di trasporto merci, le politiche dei prezzi bassi sono state uno dei pilastri impliciti di una errata strategia industriale. Il costo di questo approccio è stato pagato per anni, da un lato, in termini di perdite di bilancio delle ferrovie nel settore merci e, dall’altro, con gli aiuti di Stato all’autotrasporto.

Nel frattempo, il mercato italiano dei servizi logistici ha mantenuto le sue caratteristiche di frammentazione, ed è diventato progressivamente colonia delle principali multinazionali del settore.

Ai primi dieci posti della graduatoria, sono presenti solo due aziende di proprietà italiana.

È tempo di riprogrammare gli obiettivi, in un giusto bilanciamento tra diritto allo spostamento e impatto ambientale.

Quando la Spagna intraprese la progettazione dell’alta velocità, pensò a un piano nazionale per la logistica integrata, la politica di Aznar e del MFOM (Dipartimento ministeriale dello sviluppo), e, con una scelta di coraggio, chiuse gli aeroscali e i porti troppo vicini tra loro (di solito a distanza di 200 km), compensando con il potenziamento ferroviario.

Inoltre, esistono da anni modelli di riprogettazione sociale e urbana per ridurre l’utilizzo dei trasporti pubblici e privati, come la ‘15 Minute City’.

Non ultimo, occorre tener conto dell’incidenza della recente pandemia sulle abitudini di spostamento, che, per larga parte, permarranno anche per il futuro prossimo.

In questa prospettiva, è anzitutto necessario che:

– l’Italia si doti di un Piano Nazionale di Logistica Sostenibile, che vada oltre i particolarismi regionali (con una visione sistemica, servono indicazioni precise sullo sviluppo e la gestione dei trasporti pubblici e privati, su dove e come investire su trasporto aereo, navale, su binari o su gomma);

– si provveda a un Piano Nazionale sul Consumo del Suolo, che aiuti a eliminare gli scali ridondanti e ormai obsoleti, a efficientare quelli rimanenti, in modo strategico e in forma davvero intermodale a tutti i mezzi di trasporto, e a implementare le infrastrutture solo dove servono veramente, a fronte di una progettazione partecipativa e con reali studi sui costi/benefici dei progetti, prima di essere approvati da una commissione multisettoriale di merito (e non di nomina politica, come avveniva in passato);

– sia resa obbligatoria l’indicazione sulle etichette di tutti prodotti e nelle offerte di servizi la Carbon Footprint, cioè la quantità di CO2 emessa per la loro movimentazione, affinché i consumatori possano essere più consapevoli dei reali impatti ambientali di tutta la filiera (come un prodotto/servizio anche a km 0 possa poi in realtà utilizzare risorse molto impattanti da altri paesi, concetto di esternalità ambientale).