L’auto blu che invade la corsia, una moto che inchioda, lo schianto. L’incidente in cui ha perso la vita Cesare Tiveron, colpito da un’auto di servizio della Regione Veneto il 15 settembre 2016 davanti all’ospedale di Padova, si sta trasformando in un intrigo medico-legale. Perché sul sedile posteriore della Fiat Bravo che ha compiuto la manovra vietata sedeva il direttore generale della sanità veneta, Domenico Mantoan, il dirigente che gestisce 9 miliardi del bilancio regionale. E intorno a quel sinistro si è scatenata una guerra di perizie, firmate da alcuni dei più autorevoli docenti di medicina legale, che ora imbarazza la Procura di Padova.
Il sostituto procuratore Cristina Gava (in passato a Vicenza, ndr), assumendo una decisione che ha pochi precedenti, ha scelto di non tener conto della relazione tecnica del consulente nominato dalla Procura – secondo cui lo scooterista sarebbe morto per “cause naturali” pochi istanti prima di impattare con l’auto, versione che scagiona l’autista della Regione Veneto – e di basarsi invece sulle conclusioni dei periti della famiglia Tiveron, convinti che l’incidente stradale sia stato la causa della morte dell’uomo. Tanto che il 20 giugno scorso, nonostante le considerazioni di segno opposto del suo consulente, il pm ha chiuso le indagini nei confronti dell’autista di Mantoan, Giorgio Angelo Faccini, contestandogli l’omicidio stradale.
Che non si trattasse di un semplice incidente era stato chiaro fin dall’inizio: a fare l’autopsia sul corpo di Tiveron, al posto del medico legale di turno, si era presentato il professor Massimo Montisci, direttore dell’unità operativa di Medicina legale e tossicologia dell’ospedale di Padova. Montisci qualche mese dopo deposita in Procura una relazione che esclude qualsiasi nesso tra l’incidente e la morte del motociclista, avvalorando le dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti – secondo quanto riportato dalla tv locale Rete Veneta il 15 settembre 2016 – dall’autista e dal dirigente regionale: “Pare che l’anziano sia caduto poco prima dell’impatto con l’auto, probabilmente colto da un infarto“. Caso chiuso? No. Perché confrontando la perizia di Montisci con quella del secondo esperto nominato dalla Procura, incaricato di ricostruire la dinamica dell’incidente, il quadro non torna. Secondo l’ingegner Pellegrino Prozzo, Tiveron avrebbe “reagito al pericolo frenando e mantenendo il controllo del veicolo fino a pochi metri dall’urto“. Una condizione difficilmente compatibile con un infarto e una lesione dell’aorta in corso.
La famiglia Tiveron decide di vederci chiaro. I legali della parte offesa sollevano di fronte al pm un possibile conflitto di interessi tra il consulente della Procura Montisci, dipendente dell’ospedale di Padova, e il dirigente che era in auto con Faccini il giorno dell’incidente: Mantoan è il suo superiore diretto, visto che è il capo della sanità regionale. I Tiveron mettono in campo una squadra di periti. Oltre al dottor Antonello Cirnelli, il medico legale che aveva assistito all’autopsia, incaricano altri tre consulenti. L’ingegner Pierluigi Zamuner, il professore di medicina legale Daniele Rodriguez e il cardiopatologo Gaetano Thiene. Tutti convergono verso un’unica ricostruzione: se il guidatore dello scooter era reattivo al momento dell’incidente, e un istante prima dell’impatto ha anche cercato di deviare la traiettoria della moto, non poteva avere una rottura dell’aorta e un infarto in corso. Il parere più pesante è quello del professor Thiene, ordinario a Padova e luminare della patologia cardiovascolare, secondo cui il quadro prospettato da Montisci “è fantasioso, illogico e pressoché impossibile sul piano probabilistico“. La morte di Tiveron, conclude Thiene, è da ricondurre “con certezza e al di là di ogni ragionevole dubbio” all’incidente. Una convinzione condivisa anche dalla Procura di Padova, costretta a “sconfessare” il proprio perito medico-legale.
Ora su quella consulenza si allunga anche l’ombra di un giallo. Nel corso di una perquisizione nello studio del professor Montisci, indagato per falso ideologico in un altro procedimento, la Finanza di Padova ha trovato il pacemaker di Cesare Tiveron, l’unico apparecchio di quel genere conservato a distanza di due anni dall’esame autoptico. Proprio su quel dispositivo, in grado di registrare gli ultimi battiti del cuore del motociclista, i periti della famiglia Tiveron avrebbero voluto fare accertamenti. Ma gli esami irripetibili sul pacemaker e sul cuore del 72enne furono eseguiti da Montisci senza avvisare i consulenti di parte.
di Andrea Tornago, da Il Fatto Quotidiano