Tricolore per lo sport e all’uscita della base Usa deturpato da scritte pro Palestina: in centro a Vicenza fiaccolata dei centri sociali

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tricolore palestina
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Mercoledì sera sul grande tricolore italiano pitturato dagli Alpini qualche mese nella parete tra viale Ferrarin e viale Diaz, alla rotatoria d’ingresso della cittadella dello sport, tra palazzetto e piscine, e di fronte all’uscita dalla nuova base americana Del Din, sono comparse delle scritte in favore della Palestina che hanno deturpato la bandiera. Una scritta artistica “Free Palestine” al centro e una più spartana in nero: “L’Italia è complice di un genocidio”.

E per la serata di giovedì il centro sociale Bocciodromo di Vicenza, il Csa Arcadia di Schio e l’associazione Caracol Olol Jackson hanno organizzato una fiaccolata a sostegno della Palestina. Il corteo partirà alle ore 21 da Piazza Castello e sfilerà per le vie del centro storico, sorvegliato da decine di agenti mandati dal questore Paolo Sartori che ha imposto agli organizzatori il divieto di esporre bandiere di Hamas, visto quanto avvenuto in altre città.

Al termine della manifestazione in piazza Matteotti ci saranno gli interventi al microfono.

L’appello per la manifestazione/fiaccolata a Vicenza

La vendetta di Israele al brutale attacco a sorpresa di Hamas è giunta alla quarta settimana. Furiosi bombardamenti hanno ucciso oltre 8000 palestinesi in una striscia di Gaza ridotta a un cimitero a cielo aperto, il numero dei bambini uccisi è enorme, non sono stati risparmiati nemmeno gli ospedali e le strutture umanitarie, ricordiamo solo, in ordine di tempo, il bombardamento del campo profughi di Jabalia che l’UNICEF ha definito una carneficina con oltre duecento morti.

Nonostante gli appelli che provengono da ogni parte del mondo, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere a gran voce il “cessate il fuoco”, ora Israele ha iniziato l’operazione di terra nella striscia di Gaza e i tank israeliani sono alle porte di Gaza City, dando vita a una nuova fase di un conflitto che dura ormai da 80 anni. Quello che sta accadendo nelle ultime settimane apre nuovi scenari in una regione già ampiamente martoriata da guerra, apartheid e occupazione militare, con rilevanti implicazioni anche di carattere globale. L’escalation in Palestina, al pari della guerra in Ucraina, stanno segnando uno spartiacque negli assetti globali, la guerra è un fattore permanente, che fa il pari con una sempre maggiore militarizzazione della società e della narrazione mainstream.

In tutto questo, e il caso palestinese fornisce un esempio forse maggiore di quello ucraino, stiamo assistendo a una polarizzazione mediatica e politica che tende ad appiattire qualsiasi visione che metta in discussione la guerra nella sua essenza, ossia come strumento di riassetto del capitalismo globale. La storia di Vicenza è da decenni legata alle dinamiche della guerra globale. La presenza delle basi militari, ma anche di un tessuto sociale che è stato in grado di mobilitarsi a più riprese contro la guerra e le servitù militari, segnano la storia di un’intera città e del suo territorio. È di questi giorni la notizia che gli Stati Uniti sono pronti ad inviare duemila soldati verso lo scenario di guerra mediorientale e molti di loro potrebbero partire proprio anche dalle basi vicentine, basi nelle quali verrano a breve installate batterie di difesa antiaerea.

Vicenza torna ad essere un territorio direttamente coinvolto nelle azioni di guerra e le basi si mostrano per quello che sono sempre state: strumenti di morte e distruzione. Fermare l’escalation militare, chiedere libertà per il popolo palestinese e l’inizio di un processo di pace fatto di giustizia sociale e autodeterminazione passa anche per mobilitarsi dove la guerra si rende visibile.

Disertare la guerra che ormai si fa globale e permanente significa per noi ritrovarci a discutere, tessere le reti dell’opposizione, sentirsi in mobilitazione permanente, scendere in piazza a fianco delle centinaia di migliaia di persone che si mobilitano contro la guerra in tutto il mondo, un’umanità degna che non vuole rassegnarsi e che vuole che questo grido venga sentito fino a Gaza!

“Serve dire qualcosa? Le nostre grida fermeranno qualche bomba? Le nostre parole salveranno la vita di un bambino palestinese? Noi pensiamo di sì, forse non fermeremo una bomba o la nostra parola non diventerà uno scudo corazzato che impedirà a quel proiettile calibro 5,56 mm o 9 mm, con le lettere “IMI” (“Israeli Military Industry”) incise sulla base della cartuccia, di raggiungere il petto di una bambina o di un bambino, ma forse la nostra parola riuscirà a unirsi ad altre (…) nel mondo e forse diventerà prima un mormorio, poi una voce forte, e poi un urlo che sentiranno fino a Gaza.