Trieste: memoria e ricordo: La Voce del Sileno anno 3

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Tra i tanti, troppi luoghi, nei quali è possibile riflettere e toccare con mano, ma soprattutto con intelligenza e rigore morale uno è nello Stato Italiano il più importante: Trieste. Sparse in tutto il mondo a partire dal quel 1918 vi sono località tristemente note per esser stati luoghi di “rieducazione”. Fin dai primi anni nell’Unione delle Repubblica Socialiste Sovietiche (URSS), nacquero i prima campi di rieducazione, i Vechecka e dal 1930 i Glavnoie upravleniye lagerei (Gulag): a partire dal 1933 i Lager voluti dall’ideologia nazionalsocialista in Germania, andata al potere.

L’inizio intorni agli anni venti del 1900 di questo grandissimo male fu nelle Isole Soloveckie o isole delle lacrime, dove i dissidenti politici, il clero ortodosso e cattolico, gli stranieri filoccidentali e chiunque avesse il più vago piglio da sabotatore controrivoluzionario, veniva confinati., In molti persero il bene prezioso della vita, a queste seguirono i campi, sempre denominati Gulag, in Siberia e in ogni repubblica sovietica; si stima che nel solo 1937 furono fucilati ben 400.000 comunisti fedeli, cui si aggiungono “gli infedeli”, tanto che ancora nel 1953 nei Gulag vi erano vi erano rinchiusi 15 milioni di russi.

Questo esempio fu seguito ed è seguito a tutt’oggi da Stati che si richiamavano o si richiamano all’ideologia comunista e il numero stimato di vittime, colpevoli solo di “pensare diversamente dal regime” o di “essere di altra etnia” ovvero pulizia etnica di Kulaki, ebrei, tedeschi, cosacchi, ucraini, Ceceni, Ingusci, Tatari della Crimea, dei Caraciai, dei Balcari, dei Calmucchi, dei Tajiks, dei Bashkirs, e dei Kazani, deportati in massa, e decine di milioni di dissidenti.

A questa pulizia si aggiungono quelle compiute in altri paesi comunisti, tra cui dobbiamo ricordare il massacro dei Kmer da parte dei loro connazionali che voleva instaurare un regime comunista. Un elenco di massacri lunghissimo e di cui nessuno fa memoria, soprattutto coloro che parlano dei massacri compiuti da altri per far “dimenticare” quelli della propria parte politica, prassi diffusissima soprattutto in Italia, dove l’eredità comunista dei gulag è ignorata, diciamo taciuta e volutamente ignorata, una sorta di negazionismo.
In Germania fin dal 1933 si istituirono dei Lager che aumentarono considerevolmente di numero a partire dalla campagna antisemita, a partire dal pogrom della Notte dei cristalli il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e nei territori occupati della Polonia e della Cecoslovacchia e successivamente vennero usati per la detenzione, per la pena di morte e lo sterminio degli ebrei e di altre categorie di indesiderati (zingari, omosessuali, apolidi, testimoni di Geova e altre minoranze), marcati con contrassegni colorati.
Anche in Italia vi furono dei campi di concentramento: il Ferramonti (campo di internamento), il campo di Fossoli (da campo di prigionia divenne dal 1943 di concentramento in particolare degli ebrei italiani, dal 1947 dei profughi e poi divenne Nomadelfia), e altri a Bolzano (campo di transito), Borgo San Dalmazzo, Roccatederighi (Grosseto, Scipione di Salsomaggiore (campi di concentramento per gli ebrei per la successiva deportazione), a), in Puglia: ad Alberobello, a Gioia del Colle, a Manfredonia e uno nell’isola di San Domino, nelle Tremiti. L’unico di sterminio fu quello istituito e reso operativo a Trieste, Risiera di San Sabba, territorio che, dopo l’8 settembre 1943, con le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e la slovena Lubiana, furono sottoposte alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratte al controllo della Repubblica Sociale Italiana e denominate Zona d’operazioni del Litorale adriatico o OZAK (acronimo di Operationszone Adriatisches Küstenland).
Anche se solo la Risiera triestina fu campo di sterminio, non vi sono certo “giustificazioni” per gli altri, anch’essi quasi dimenticati perché, come è noto, “Italiani brava gente”.
È storia non onesta e la storia deve essere prima di tutto onesta ci ricorda ancor oggi dal Medioevo il vescovo Ottone di Frisinga (1109 -1158), quella che vede la fine dei Lager solo con la fine del totalitarismo fascista e nazionalsocialista. Questa è ad uso dell’ideologia politica comunista, che non vide nemmeno con la denuncia dei dissidenti sovietici il male dei gulag e come già affermato tende anche oggi a “far finta di niente”.
I Gulag e i Lager sono i luoghi della persecuzione ideologica, etnica razziale culturale che parte dalla considerazione intollerante che solo la propria visione politica, assunta a visione del mondo (Weltanschaunung) è l’unica possibile. Il totalitarismo, la forma politica del Novecento con prosecuzioni anche nel XXI secolo ha come caratteristica propria quella della negazione fisica, morale e culturale di coloro che non sono “ammessi” nella cerchia degli esseri “eguali” ovvero dove alcuni sono più uguali degli altri. Prassi che non è solo fisica, i campi di sterminio, ma è anche appannaggio di una serie di cosiddetti intellettuali, che esercitano per mestiere e sant’oro il ruolo di politically correct.
Proprio la condizione sopra denunciata è quella che fu attiva dopo il 1945 soprattutto in Italia con uccisioni, (ricordiamo solo la Volante Rossa, attiva a Milano e Lombardia), deportazioni che possiamo chiamare per alcuni territori occupati dalla Jugoslavia, pulizia etnica, che non è giustificabile, come operano alcuni storici di parte, perché vi furono uccisioni ecc. da parte dell’esercito italiano di occupazione di quei territori e di quelli del poco noto Regno di Croazia.
Tra il 1944 e gli anni successivi nei Territori del Litorale e a Zara occupati dalle truppe jugoslave si operò una vera e propria “caccia” agli italiani, con la “scusa” che erano rastrellamenti di fascisti, ma miravano all’eliminazione e la diffusione di terrore nella popolazione. Molti furono letteralmente fatti cadere, assassinando il primo della fila e facendo seguire gli altri legati, nelle “foibe“, cavità carsiche, alcune utilizzate anche come miniere (Bosovizza-Trieste). La popolazione italiana dei territori occupati fu terrorizzata ed iniziò, come quella tedesca della Prussia Orientale, un esodo massiccio, che non trovò molto appoggio soprattutto da parte di coloro che parteggiavano per il comunismo, veduto come panacea del mondo e unica soluzione politica perseguibile.
Quanti furono i morti? Si stima circa 10.137 persone mancanti in seguito a deportazioni, eccidi e infoibamenti per mano jugoslava. A questa cifra andrebbero poi aggiunte le vittime di ben trentasette fra foibe e cave di bauxite per le quali non è stato possibile alcun accertamento pur “essendo nella certezza che ivi furono compiuti altri massacri”.

In questo modo la cifra finale sarebbe di 16.500 vittime. Il carico di dolore nel corpo e nell’anima di molti profughi non è calcolabile, e ben descrisse ciò Marco Perlini, esule da Zara, in Non ho più patria (Vicenza, editrice Veneta, 2015, p.21) che con coraggio afferma ciò che anche noi vorremo fosse vera prospettiva: “Vi sono a questo mondo due idee superiori a tutte le altre; l’idea del perdono e l’idea di giustizia”, Che devono esser perseguite. Così, prosegue l’Autore, “L’idea del perdono rimane l’idea superiore a tutte, perché più semplice e più chiara (come tutto ciò che viene direttamente dal cuore senza passare per il labirinto del cervello).”
Con questo nell’animo Trieste quindi proprio per le due terribili sedi di massacri – Risiera di san Sabba – Foiba della Basovizza – dovrebbe essere eletta a ricordo, a memoria di un’epoca nella quale la dignità dell’uomo è stata vilipesa, uccisa per essere chiari, da prospettive politiche indegne, oggi lo possiamo ben dire, dell’umanità e che purtroppo si stanno ripresentando, come se non ne avessimo avuto abbastanza. Non serve incolpare uno o l’altro dei protagonisti dei macelli del novecento, e magari tacere di quello che ci è più vicino ideologicamente, serve una vera coscienza dove all’analisi oggettiva e onesta dei fatti sia fatta seguire un abbandono sincero di tutte le visioni totalitarie in politica, per costruire con una dialogo attivo quel bene civile che deve essere irrinunciabile con il concorso di ogni cittadino, che si rende responsabile di ogni suo atto perché esso è sempre per tutti e di un governo che non sia sospettabile di interessi individualistici nemmeno nelle moglie e nei mariti.

Il secolo civile: fra gulag e olocausto
Ha ancora la terra il sapore amaro
Se hanno seminato odio
Intriso di sangue,
Tra i campi il dolore
Tracimato da milioni di uomini
Avanza utile per il potere,
Là dove la vita è solo numero
Legato ad un’idea troppo umana,
Era infelice quella che vide
In ogni momento
Ridotta in fumo l’anima,
Negato perfino il cielo
.

Dedicato agli studenti del Ginnasio-Liceo classico “A. Pigafetta” che trassero vera lezione di vita dalla visita ai due luoghi triestini.

 

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Italo Francesco Baldo
Italo Francesco Baldo nato a Rovereto, residente a Vicenza è stato ordinario di Storia e Filosofia nel Liceo Classico "A.Pigafetta" di Vicenza.Si è laureato con una tesi su Kant all’Università di Padova, ha collaborato con l'Istituto di Storia della Filosofia dell’Università di Padova, interessandosi all’umanesimo, alla filosofia kantiana, alla storiografia filosofica del Settecento e alla letteratura vicentina in particolare Giacomo Zanella e Antonio Fogazzaro Nel 1981 i suoi lavoro sono stati oggetto " di particolare menzione" nel Concorso al Premio del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali per il 1981 cfr. Rendiconto delle Adunanze solenni Accademia dei Lincei vol. VIII, fasc.5. ha collaborato con Il Giornale di Vicenza, L’Arena, Il Tempo, La Domenica di Vicenza e Vicenzapiù Tra le diverse pubblicazioni ricordiamo La manualistica dopo Brucker, in Il secondo illuminismo e l'età kantiana, vol. III, Tomo II della Storia delle storie generali della filosofia, Antenore, Padova 1988, pp. 625-670. I. KANT, Primi principi metafisici della scienza della natura, Piovan Ed., Abano T. (Pd) 1989. Modelli di ragionamento, Roma, Aracne Erasmo Da Rotterdam, Pace e guerra, Salerno Editrice, Roma 2004 Lettere di un’amicizia, Vicenza, Editrice Veneta, 2011 "Dal fragor del Chiampo al cheto Astichello", Editrice Veneta, 2017 Introduzione a A. Fogazzaro, Saggio di protesta del veneto contro la pace di Villafranca, Vicenza, Editrice Veneta, 2011. Niccolò Cusano, De Pulchritudine, Vicenza, Editrice Veneta 2012. Testimoniare la croce. Introduzione a S. Edith Stein, Vicenza, Il Sileno, 2013.