Triveneto diffidente verso le diversità, importante il ruolo delle aziende nell’educare i cittadini

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Nelle Regioni del Triveneto, ovvero in Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, i cittadini sono meno informati sulle tematiche di Diversità, Equità e Inclusione rispetto alla media nazionale italiana, solo il 40% rispetto 50% a livello Paese.

Lo rivela una ricerca su queste tematiche condotta da Omnicom PR Group Italia che analizza il livello di percezione e consapevolezza su questi temi tra popolazione generale e lavoratori. L’indagine, condotta con Astra Ricerche, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica circa le opportunità e i rischi dello scenario attuale e il ruolo che le aziende posso ricoprire nella costruzione di ambienti inclusivi, equi e rispettosi delle diversità.

Tornando ai dati del Triveneto, dei temi trattati gli intervistati ne hanno sentito parlare di più, ma non si sono informati abbastanza (54% vs 43%). Forse questo è il motivo per cui il 20% degli intervistati, contro una media italiana del 14%, ritiene che la diversità crei problemi, difficoltà.

Se poi si va ad indagare rispetto alla Diversità, a quali tipi si fa riferimento nel dibattito pubblico, il 47% (contro il 37%) ritiene che diversità sia innanzitutto di sesso biologico (uomo, donna), poi di identità, genere sessuale (maschio, femmina, non binario, transgender, agender…), 75% vs 69%, di colore della pelle (‘bianco’, ‘nero’, …).

Il Triveneto inoltre ritiene, in misura maggiore rispetto alla media nazionale, che ci siano diversità che mettono la nostra società, la comunità di cittadini in Italia di fronte a una sfida maggiore, di più difficile soluzione, e queste riguardano il ceto sociale, stato economico (27% degli intervistati nel Triveneto vs 19%), il sesso biologico (uomo, donna) (29% vs 23%), abilità e disabilità (di vario tipo: intellettiva, fisica, motoria, sensoriale, …) (33% contro il 27%).

Quando poi la popolazione del Triveneto viene intervistata su quale sia il livello di Diversità nella propria vita sociale (parenti, amici, conoscenti, persone che frequenta per vari motivi) dalle risposte emerge che vive immersa in una realtà più “omogenea” rispetto al resto dell’Italia: frequento solo/quasi solo persone ‘bianche’ 45% vs 34%, frequento solo/quasi solo persone italiane 40% vs 30%, frequento solo/quasi solo persone originarie della mia area geografica in Italia 31% vs 24%, frequento solo/quasi solo persone eterosessuali 31% vs 27%.

Addirittura il 30% degli intervistati nel Triveneto, contro una media nazionale del 14%, afferma che sarebbe un problema il contatto con la Diversità di stato di cittadino (italiano, con permesso di soggiorno, richiedente asilo, con protezione internazionale/rifugiato, …), il 24% contro il 15% sarebbe un problema il contatto con persone di religione diversa, e il 23% contro la media del 14% pensa che sarebbe un problema il contatto con persone di orientamento politico, ideologico e valoriale diverso.

Se poi gli abitanti di queste regioni vengono intervistati sul perché a volte non sia sempre di primaria importanza essere inclusivi, le risposte fanno emergere un sentimento fortemente negativo verso l’inclusione rispetto alla media nazionale: “Non vedo perché dovrei impegnarmi a essere inclusivo quando molte persone diverse da me non fanno lo stesso verso la mia cultura” 21% vs 13%; “interagire con persone molto diverse è faticoso, snervante” 19% vs 12%; “sono diffidente perché sento spesso parlare di comportamenti negativi di certi gruppi sociali” 20% vs 11%; “se devo interagire con persone molto diverse da me non so se fidarmi o averne paura” 15% a 10%.

E purtroppo le prospettive per il futuro non sono rosee, se il 55% degli intervistati contro il 68% della media nazionale italiana afferma che in futuro (da qui a 3-5 anni) in Italia ci sarà una maggiore varietà di persone.

Che cosa allora potrebbe favorire la diffusione della cultura inclusiva e una maggiore accettazione dell’”altro”, secondo la popolazione del Triveneto?

Tra i fattori scatenanti c’è senza dubbio la partecipazione ad attività di dialogo che permettono a tutti (anche a coloro che si ritengono davvero inclusivi) di scoprire i propri pregiudizi inconsci e di affrontarli (43% vs 37%)

Qui si percepisce un certo scetticismo, rispetto alla media nazionale, sul ruolo delle aziende nel favorire il diffondersi della diversità, equità e inclusione. Il 57% degli intervistati, contro una media italiana del 68%, ritiene che un’azienda non dovrebbe limitarsi a essere attiva nella Diversità & Inclusione, ma dovrebbe spingere i propri clienti a esserlo, dovrebbe ‘educare’ al favore per la diversità e agli atteggiamenti inclusivi. E solo il 60% contro il 66% della media nazionale, preferisce un’azienda che si impegna in progetti di Diversità & Inclusione ad aziende che non lo fanno.

La contrarietà alla diversità e all’equità emerge anche quando la popolazione del Triveneto viene intervistata su come ritiene di comportarsi rispetto all’equità. In altre parole, solo il 38% degli intervistati contro il 44% della media nazionale afferma di valutare le persone sempre e solo in base al comportamento, a ciò che dicono e ciò che fanno.