
La guardia di finanza ha scoperto un vasto sistema di frode legato al bonus facciate nelle province di Vicenza, Verona e Padova.
Due imprenditori edili veronesi sono accusati di aver generato crediti d’imposta falsi per un totale di 4,65 milioni di euro, truffando lo Stato e coinvolgendo, loro malgrado, 26 ignari committenti. Il provvedimento, emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Verona, ha portato al sequestro preventivo di beni, denaro e crediti fiscali per un valore equivalente alla somma sottratta indebitamente.
Il meccanismo della truffa
Tra il 2021 e il 2022, i due imprenditori avrebbero sfruttato il cosiddetto “sconto in fattura“, previsto dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020), per dichiarare lavori edilizi mai eseguiti su immobili situati nel Vicentino e nelle province limitrofe. In molti casi, i proprietari degli immobili non erano nemmeno a conoscenza delle operazioni illecite, in quanto le società coinvolte risultavano completamente sconosciute ai committenti.
Le indagini e il sequestro
L’inchiesta, coordinata dall’autorità giudiziaria scaligera, ha preso avvio nell’agosto 2023, quando i finanzieri del gruppo Vicenza hanno segnalato alla direzione provinciale dell’agenzia delle entrate di Verona una compensazione sospetta di crediti per 450.000 euro. Da quel momento, le indagini si sono intensificate, portando alla scoperta di un sistema fraudolento ben strutturato.
Gli investigatori hanno accertato che le due società riconducibili agli indagati avevano creato crediti fittizi utilizzando dati personali acquisiti in fase di richiesta di preventivi per lavori mai effettivamente realizzati. In alcuni casi, addirittura, i lavori risultavano dichiarati su immobili che non erano mai stati di proprietà dei committenti. Solo in un caso i lavori sono stati parzialmente eseguiti, ma comunque senza rispettare le condizioni dichiarate per ottenere i benefici fiscali.
Dall’illecito fiscale all’autoriciclaggio
Oltre alla truffa ai danni dello Stato, i finanzieri hanno accertato un’ulteriore irregolarità: il reimpiego dei proventi illeciti nelle attività imprenditoriali degli stessi indagati. L’analisi dei flussi bancari ha rivelato che circa mezzo milione di euro, derivante dalla monetizzazione dei crediti fittizi, è stato utilizzato per finanziare nuove operazioni economiche, configurando così anche il reato di autoriciclaggio.
I due imprenditori sono attualmente indagati per indebita percezione di erogazioni pubbliche, tentata truffa ai danni dello Stato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e autoriciclaggio. L’attività investigativa prosegue per accertare eventuali ulteriori responsabilità e individuare possibili complici nel sistema di frode.