“Non c’è dubbio che entri nella definizione generale di fascista”. Così il generale John Kelly, in un’intervista concessa a Michael S. Schmidt del New York Times, mentre conferma che Donald Trump merita l’epiteto di fascista (primo lancio alle 3.13). Prima di queste frasi Kelly aveva dato una definizione esaustiva del fascismo, confermando ciò che avevano detto in precedenza altri generali che avevano servito nell’amministrazione Trump.
Questi includono anche Mark Milley, ex capo di stato maggiore il quale è citato nel libro “War” (Guerra) del celebre giornalista Bob Woodward. Milley, secondo Woodward, ha definito Trump un “fascista totale”. Altri ex militari che hanno fatto parte dell’amministrazione Trump hanno usato parole simili definendo il loro ex capo un “pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti”.
Le aspirazioni autoritarie di Trump erano già note ma le conferme uscite dalla bocca di Kelly sono più allarmanti poiché vengono da un individuo che ha collaborato con l’ex presidente da vicino. Kelly era un generale che Trump aveva nominato Segretario della Homeland Security e poi nel 2017 lo scelse come suo chief of staff, ruolo che ricoprì per un anno e mezzo fino al 2019.
Nell’audio dell’intervista del New York Times si sente la voce di Kelly che riferisce di idee sconcertanti di Trump sui membri delle forze armate. Trump era stato citato da altre fonti come la rivista The Atlantic per aver disprezzato i membri delle forze armate, riferendosi ai caduti come “perdenti e sfigati”. Kelly conferma queste asserzioni nell’intervista al New York Times ribadendo commenti simili rilasciati in un’intervista alla Cnn.
Si sapeva già dell’ammirazione di Trump per i leader di regimi autoritari come Vladimir Putin, Xi Jinping, Kim Jong Un e Viktor Orban. L’ex presidente ammira la potenza di questi individui e, difatti, secondo Kelly li invidiava poiché lui non poteva raggiungere i loro livelli di potere assoluto.
Ciononostante Kelly nell’anno e mezzo trascorsi vicino a Trump dovette spiegare più volte a Trump che il presidente degli Stati Uniti era limitato dalla costituzione. Trump diede parecchie dimostrazioni di vedere la sua carica come quella di un imprenditore che fa il bello e brutto tempo senza paletti, assumendo e licenziando collaboratori a suo piacimento. In un certo senso lo fece anche alla Casa Bianca, offrendo incarichi a individui che, poi, fu costretto a licenziare, di solito perché non gli avevano dimostrato completa fedeltà.
Kelly e altri collaboratori di Trump riuscirono a limitare i comportamenti fuori dalle righe del loro capo a volte rimandando i suoi ordini, sperando che Trump li dimenticasse. Ciò avveniva con frequenza, secondo Kelly e altre testimonianze. Ciononostante spesso Trump voleva fare cose talmente illegali che Kelly dovette usare strategie diplomatiche per convincerlo altrimenti. Per esempio, Trump aveva suggerito di bombardare luoghi in Messico, dove si sospettava che fossero prodotte droghe illegali, senza capire le ovvie conseguenze.
Kelly conferma anche la scena dolorosa per lui quando si trovò all’Arlington National Cemetery e Trump, riferendosi ai caduti, gli disse di non capire chi glielo avesse fatto fare. Il figlio di Kelly, morto durante la guerra in Afghanistan nel 2010, è, infatti, sepolto in quel cimitero. Trump, secondo Kelly, non ha nessuna empatia.
Dopo essere andato in pensione Kelly era rimasto silenzioso ma dopo avere sentito l’intervista di Trump in cui dichiarava che i nemici più pericolosi sono dentro il Paese e che bisognava usare “le forze armate” contro di loro non ne ha potuto più e ha concesso l’intervista a Schmidt il quale gliela chiedeva da parecchi mesi.
Nonostante le sue sentite riserve su Trump, Kelly ha ammesso che condivideva alcune idee politiche del 45esimo presidente, ma ha aggiunto che non merita un secondo mandato. Ciononostante, Kelly non ha offerto il suo endorsement a Kamala Harris, la candidata democratica.
La stessa strada è stata seguita da altri luminari del Partito Repubblicano come Mike Pence, ex vice di Trump, e Mitt Romney, senatore dello Utah e già candidato presidenziale repubblicano nel 2012, sconfitto da Barack Obama. Silenzio anche da George W. Bush ma non dal suo vice Dick Cheney e sua figlia Liz, i quali hanno ambedue offerto il loro endorsement alla Harris. Anche 700 ex ufficiali della sicurezza nazionale americana, che hanno lavorato in parecchie amministrazioni sia democratiche che repubblicane, hanno rilasciato una lettera nella quale sostengono “l’autoritarismo” di Trump, offrendo il loro endorsement alla Harris.
Il fatto che Trump governerebbe con aspirazioni dittatoriali ci viene confermato non solo dalle asserzioni spropositate dell’ex presidente ma anche dal suo piano di rimpiazzare tutti i dipendenti federali con individui fedelissimi al capo.
Nel suo recente town hall alla Cnn, al quale il candiato per il GOP si è rifiutato di partecipare, la Harris ha giustamente detto che se eletta lei avrà una lista di progetti per aiutare gli americani. Trump, invece, ha concluso la Harris, ha una lista di nemici che lui intende punire. Una prospettiva menzionata anche dal generale Milley il quale ha già attivato misure di sicurezza nella sua residenza, temendo minacce dei sostenitori di Trump ma persino il fatto che il secondo mandato del suo ex capo lo potrebbe fare apparire davanti a una corte marziale.