Oggi a Strasburgo Ursula von der Leyen si gioca la rielezione e l’Unione Europea una buona parte della sua credibilità internazionale. Di prima mattina, le linee guida per la prossima Commissione arriveranno sul tavolo dei gruppi politici; poi parlerà la presidente, candidata a succedere a se stessa per un altro quinquennio.
Dopodiché ci sarà una pausa e i gruppi si riuniranno, per decidere come votare. Dalle 13, gli eurodeputati voteranno, a scrutinio segreto. I risultati verranno annunciati nel primo pomeriggio.
Per essere eletta, von der Leyen dovrà ottenere almeno 361 voti. Sulla carta ne ha 401, la somma di Ppe, S&D e Renew, ma si stima un tasso di franchi tiratori pari al 10-15%. Di conseguenza, se vuole essere rieletta, deve allargare la sua base di voto. I principali indiziati sono i Verdi/Ale, che hanno dato ampi segnali di disponibilità a votare la ‘madre’ del Green Deal. Ufficialmente, comunque, gli ecologisti decideranno solo oggi, sulla base delle linee guida e di cosa dirà von der Leyen. I Verdi continuano a spingere perché la maggioranza venga allargata formalmente anche a loro, in vista dei prossimi passaggi parlamentari, perché una maggioranza di quattrocento deputati è troppo fragile, a loro giudizio, per reggere a tutte le prove che aspettano l’Ue. La delegazione più dubbiosa tra gli ecologisti è quella dei francesi, che potrebbe non votarla.
Nell’Ecr, che andrà in ordine sparso, sembrano orientati a votarla i fiamminghi dell’N-Va e i cechi dell’Ods. Mentre i polacchi del Pis non la voteranno di sicuro, come ha detto ieri l’ex premier Beata Szydlo, i Fratelli d’Italia finora hanno mantenuto il riserbo più assoluto: anche ieri il copresidente dell’Ecr Nicola Procaccini ha ripetuto che una decisione non c’è ancora. E, anche se ci fosse, con ogni probabilità non verrebbe comunicata prima. Un eurodeputato di Fdi, dietro promessa di anonimato, prevede che sarà “dura” votare von der Leyen, se continua a seguire la linea dei “Verdi” e se non vuole fari accordi. Ma non è un mistero che a decidere sarà Giorgia Meloni, quindi bisogna aspettare.
La nomina a vicepresidente del Parlamento di Antonella Sberna, di Fdi, avvenuta martedì, è un segnale ‘inclusivo’ nei confronti del partito di Meloni. L’Ecr aveva già rotto il ‘cordone sanitario’ da tempo: dal 2022 ha un vicepresidente, il lettone Roberts Zile, che è stato rieletto, ma Sberna è la prima vicepresidente dell’Aula che viene dai Fratelli d’Italia, partito che conta ormai 24 eurodeputati. C’è un precedente ‘di area’, Roberta Angelilli, già in Alleanza Nazionale, che però venne eletta nel 2009 con il Popolo delle Libertà (gruppo Ppe) e divenne vicepresidente dell’Aula nello stesso anno.
Tra gli italiani i Cinquestelle, appena entrati nel gruppo della Left dopo cinque anni di Purgatorio tra i Non Iscritti, dovrebbero votare contro, come il resto del gruppo. Contraria anche la Lega, nei Patrioti. Cinque anni fa, nel luglio 2019, il partito di Matteo Salvini votò contro von der Leyen, mentre i Cinquestelle votarono a favore, una divaricazione che segnò l’inizio della fine del Conte uno. Tra i Socialisti il Pd voterà a favore, ha detto la vicepresidente dell’Aula Pina Picierno, secondo la quale non ci sarà “nessun” franco tiratore tra i Dem e probabilmente pochi anche nelle file dei Socialisti. “Non so se sarà lo stesso in altri gruppi”, ha aggiunto.
Liberali e Ppe dovrebbero votare a favore della candidata, ma c’è l’incognita di quanti saranno i franchi tiratori. Che la presidente non sia amatissima nel suo partito, dove alcuni la considerano troppo a sinistra, non è un mistero sin dal congresso di Bucarest, in marzo, quando von der Leyen venne nominata Spitzenkandidatin con parecchie defezioni. Si sa che i Liberali irlandesi, 6, non la voteranno, per le posizioni nettamente filoisraeliane adottate fin dall’inizio della guerra a Gaza. Perplessi anche i tedeschi dell’Fdp. Tra i Popolari si segnalano mal di pancia tra francesi, austriaci e sloveni. Le linee guida per la prossima Commissione, alcune delle quali si possono dedurre da quanto von der Leyen ha detto sia alla Sinistra che ai Conservatori, saranno lette con molta attenzione dai gruppi, anche dai Verdi.
Su alcuni punti nodali, come le migrazioni, von der Leyen dovrà trovare un punto di equilibrio, per non scontentare nessuno, ma non sarà facile. Mentre la presidente del Parlamento può spaziare a destra e a sinistra con relativa facilità, la presidente della Commissione ha l’iniziativa legislativa, decide le leggi, quindi ci sono dei limiti all’ecumenismo che può ostentare. Tant’è che sul Green Deal all’Ecr ha concesso solo che sarà “pragmatico” e “tecnologicamente aperto”.
Intanto, un colpo a von der Leyen è arrivato dal Tribunale dell’Ue, che ha stabilito, in due sentenze, che la sua Commissione ha ecceduto nello ’sbianchettare’ i contratti di acquisto siglati con le case farmaceutiche nel 2020-21 per i vaccini anti Covid. L’esecutivo Ue ha tentato di parare mediaticamente la bordata arrivata da Lussemburgo, sostenendo che il Tribunale gli avrebbe dato ragione sulla stragrande maggioranza dei punti. Ma le sentenze smentiscono questa versione: la Commissione è stata condannata in entrambi i casi a pagare le spese processuali, in un caso perché “soccombente” per “l’essenziale” della causa. Non si tratta, a rigore, del cosiddetto Pfizergate, che riguardava i messaggini che von der Leyen si scambiò con il Ceo di Pfizer Albert Bourla all’epoca della trattativa sul contratto (è pendente una causa in Corte di Giustizia intentata dal New York Times), ma di una censura alla scarsissima trasparenza con cui la Commissione ha gestito tutto il capitolo vaccini anti Covid. Non ha censurato solo i contratti, ma anche i verbali del comitato direttivo sui vaccini, in modo assai esteso.
L’eurodeputata olandese Kim van Sparrentak, dei Verdi, tra le promotrici di una delle due cause contro gli omissis, ha sottolineato l’importanza della trasparenza, “fondamentale nella lotta allo scetticismo sui vaccini”.
Nel frattempo, ieri è stata votata a maggioranza, a Strasburgo, una risoluzione sulla necessità di sostenere l’Ucraina, in guerra contro l’invasore russo. L’Ecr, con Fratelli d’Italia, ha votato a favore (il testo porta anche la firma del copresidente Nicola Procaccini), confermando la propria linea pro Kiev del partito di Meloni. Ci sono stati vari tentativi di distinguo negli emendamenti, in particolare da parte di Fdi per quanto riguarda la parte che condanna le azioni di Viktor Orban presidente di turno del Consiglio Ue. In ogni caso, gli emendamenti sono stati respinti e il testo è passato invariato, anche nella parte che invita a rimuovere le restrizioni all’uso delle armi inviate all’Ucraina in territorio russo. Anche questa risoluzione vede Fratelli d’Italia saldamente inserita nel perimetro della maggioranza atlantista e pro Kiev, ma è presto per trarne deduzioni circa il voto su von der Leyen. Franchi tiratori permettendo, se la politica nata a Ixelles avrà raccolto almeno 361 voti, sarà presidente della Commissione per altri cinque anni. In caso contrario, il Consiglio Europeo dovrà trovare un altro candidato entro un mese. Non pochi prevedono che, in questo secondo caso, scoppierebbe una crisi istituzionale dagli esiti imprevedibili. E’ difficile che il Parlamento Europeo voglia assumersi una responsabilità simile. Ma i deputati sono 720, ciascuno pensa con la sua testa e il voto è segreto, quindi una risposta certa la si avrà solo domani, poco prima delle 15, quando dovrebbe essere annunciato l’esito della votazione.
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