Le disposizioni dell’ultimo Dpcm in materia di misure anti COVID 19 contengono – come, in una certa misura, è inevitabile – errori, anche gravi e diffusi, molti dei quali sarebbero stati evitabili se il governo fosse stato meno pressappochista e si fosse avvalso di collaboratori e consulenti più attenti. Gli interventi normativi di massa sono intrinsecamente sempre pericolosi proprio perché mirano a fronteggiare un vasto e multiforme fenomeno e non consentono, quasi mai, una disanima attenta di specifici casi problematici. Ma alcuni interventi sono stati davvero irragionevoli e, a mio parere, palesemente contradditori e ingiusti, come tali evitabili con l’uso di un minimo di riflessione e di buon senso.
Gli esempi sono tanti, ma uno per tutti, abbastanza evidente, è quello delle palestre: il Dpcm ne ha disposto la chiusura totale e generalizzata, pur dopo aver imposto recentissimamente precise misure di sanificazione e di distanziamento che, per le strutture interessate, hanno rappresentato un onere economico rilevante, rilevatosi, poi, dopo pochi giorni, del tutto inutile.
Ma qui voglio riferirmi alle cosiddette palestre della salute, irragionevolmente trattate come le altre, quelle di frequentazione comune.
Si deve ricordare che, con l’art. 21 della L.R. n. 8/2015 e successive modificazioni, la Regione Veneto ha istituito le Palestre della Salute (ma anche altre regioni, in tutta Italia, hanno provveduto nello stesso senso, ormai da anni). Trattasi di strutture (definibili parasanitarie) che, oltre ad ospitare le normali attività ginnico-sportive, presentano specifici requisiti, identificati dalla Regione, che le rendono idonee ad accogliere cittadini con patologie croniche non trasmissibili (cardiopatici, diabetici, nefropatici ecc.) nello svolgimento di programmi di esercizio fisico prescritti da un medico.
Queste strutture, per avere la qualifica sopra indicata, devono, ovviamente, avvalersi della collaborazione continua di assistenti qualificati e e preparati a svolgere una qualificata attività, che non è propriamente riabilitativa, ma che è diretta a consentire di fare esercizio fisico (che ormai è comunemente considerato un vero e proprio benefico farmaco) ad alcuni soggetti che, a causa di loro menomazioni fisiche, non sarebbero altrimenti in grado di praticarlo autonomamente e in sicurezza. Negare a un cardiopatico (tanto per fare un esempio) la possibilità di frequentare la struttura palestrale che gli consente lo svolgimento dell’attività motoria prescrittagli dal medico è come impedirgli di assumere un salvifico farmaco.
Le palestre della salute, dunque, sono destinate a svolgere una funzione importantissima non solo dal punto di vista sociale, ma anche (e soprattutto) da quello medico, essendo strumenti di prudente utilizzazione di un farmaco naturale (l’esercizio fisico, appunto) a fianco della terapia medica vera e propria. Proprio per questo, la Regione Veneto si sta sforzando di sensibilizzare i medici a prescrivere esercizio fisico ai cittadini affetti da patologie non trasmissibili, sul solco delle esperienze assunte in tutti i Paesi più progrediti.
Ma, a questo punto, si pongono due problemi. Anzitutto, siamo proprio sicuri che la generalizzata previsione di chiusura delle palestre, in tutto il territorio nazionale, disposta dall’ultimo Dpcm sia legittima e sia estensibile anche alle palestre della salute, che sono regolate nel contesto di una competenza normativa riservata alle regioni ? Potrebbe anche prospettarsi, nel provvedimento governativo, un vizio di competenza per aver impartito, per tutto il territorio nazionale, disposizione in una materia riservata, invece, alle regioni.
E non è forse contraddittorio definire l’esercizio fisico specifico prescritto da un medico come farmaco e poi impedirne l’assunzione con la chiusura forzata dell’unico ambiente in cui esso può essere assunto?
Un ripensamento appare necessario.
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