Un dolce ma sofferto ricordo del veneziano Franco Basaglia a 40 anni dalla legge che porta il suo nome e cancellò i manicomi

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Avevo lavorato 17 anni fa in una delle ultime strutture chiamata manicomio, rispondendo con fatica ad un SI chiestomi da un superiore. Avevo conosciuto le persone lì ricoverate e le persone che di costoro si occupavano. Ho visto e toccato con mano un’umanità che scuote ogni certezza e ragionevolezza; un’umanità che poneva più interrogativi a cui non si trovavano facili e semplici risposte. C’era chi si metteva in tasca il cibo, per poi mangiarlo durante il giorno; chi rimaneva rannicchiato fisicamente e psicologicamente nel proprio sè; chi dormiva sempre sotto il proprio letto e chi, tirato giù il materasso, dormiva direttamente sulla rete.

C’era chi rimaneva incollato tutto il giorno alla grata della finestra aspettando qualcuno o una libertà che nessuno avrebbe potuto donargli; un’anziana donna che sgranava con tenerezza il suo rosario: altri appigli con il mondo non aveva.
Ero rimasta colpita dalla presenza di donne e uomini giovani, più giovani anche di me e la superbia umana a volte gioca brutti scherzi: mi pareva impossibile non si potesse fare nulla per costoro! C’ era un bel ragazzo dagli occhi azzurri che si imbrattava con le proprie feci e, il più del suo tempo, lo trascorreva nudo; una giovane donna che si nascondeva perennemente il volto con le mani e il suo volto aveva tratti così eleganti e fini che meritava di essere guardato. C’era chi, di notte, doveva essere lasciato solo nella sua piccola stanza dove c’era unicamente il letto: lo vedevo picchiare la testa contro il muro e darsi sberle, lo guardavo dallo spioncino e pesavo tutta la fragilità della mente umana.
Nel reparto non c’erano suppellettili o fiori, tutto poteva essere mangiato o distrutto, anche le vettovaglie erano di plastica.
C’era chi si beveva l’aceto sognando magari fosse del buon vino, e chi ininterrottamente si tirava giù e su i pantaloni.
Ho visto e toccato con mano una sofferenza che non pensavo potesse esistere; ho visto e toccato con mano uno dei tanti manicomi che, grazie a Franco Basaglia (psichiatra veneto di Venezia, ndr), sono stati chiusi.
C’era un vecchietto che si sedeva, bello o cattivo tempo, nel piccolo giardino esterno dove padroneggiava un grande noce i cui rami oltrepassavano le alte recinzioni; passava le sue giornate a farsi sigarette con le pagine di giornale e guardava con costanza le lunghe braccia dell’albero che sporgevano verso quella libertà che probabilmente sognava per se stesso e per la sua vissuta mente. Avrei voluto metterlo io sopra quel ramo e fargli prendere il volo verso i cieli che lui desiderava, spesso ho sognato che ci riuscivo e che lo vedevo volare felice. Ma era solo un sogno: per lui e anche per me!

di Irma Serena Lovato