Un giorno del ringraziamento particolare, con due voci per sempre libere

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Il giorno del ringraziamento. Questo è il messaggio di Leonard Peltier letto da Munia Abu-Jamal che si può trovare in qualche sito della rete:

“Il 2019 sta finendo ed è arrivato il giorno che gli statunitensi conoscono come “Giorno del Ringraziamento”. Lascio che la mia mente possa divagare oltre le sbarre di acciaio e i muri di cemento, cerco di immaginare quello che fanno e pensano le persone che vivono al di fuori delle porte della prigione. Qualche volta pensano, forse, ai popoli indigeni che furono costretti ad abbandonare le proprie terre? Si rendono conto che ogni passo che fanno, qualsiasi sia la direzione, poggia su una terra rubata? Possono immaginare, anche solo per un minuto, cosa significasse vedere la sofferenza delle donne, dei bambine e delle bambine, dei neonati, anche dei malati e degli anziani quando furono trasferiti verso ovest con temperature sotto zero e con poco o nessun cibo? Facevano parte del mio popolo e questa era la nostra terra. C’era un tempo nel quale eravamo liberi e potevamo cacciare i bisonti e raccogliere i frutti della terra e le medicine sacre. Potevamo pescare e avevamo acqua pulita e trasparente. Il mio popolo era generoso. Condividevamo tutto quello che avevamo, anche la conoscenza di come sopravvivere agli inverni rigidi e lunghi o alle estati torride e umide. Apprezzavamo i regali del Creatore che ringraziavamo ogni giorno. Avevamo riti e danze speciali che erano un inno alla vita.

Con l’arrivo degli stranieri la nostra vita cambiò radicalmente. Il concetto di proprietà individuale era qualcosa di estraneo al mio popolo. I recinti? Allora erano sconosciuti. Eravamo una comunità e ci aiutavamo reciprocamente. Le nostre nonne e i nostri nonni non venivano isolati e abbandonati. Erano i guardiani della saggezza e i narratori delle storie. Erano pilastri fondamentali della famiglia. I piccoli? Erano e sono il nostro futuro! Guardate quella bella gioventù che si mette in gioco lottando per mantenere pulita la nostra acqua e il nostro ambiente; lo fa per le prossime generazioni. Si dimostrano disposti a contrapporsi alle gigantesche corporazioni multinazionali spiegando alla gente la devastazione che esse producono. Io sorrido con speranza quando penso a queste ragazze e ragazzi. Non hanno paura di niente e sono là per dire la verità a chiunque sia disposto ad ascoltare. Voglio ricordare anche le nostre sorelle e i nostri fratelli della Bolivia che si sollevano in appoggio del primo presidente indigeno Evo Morales. Il suo impegno verso il popolo, la terra, le risorse naturali e il contrasto alla corruzione è ammirevole. Dobbiamo salutare questa lotta e identificarci in essa.

Vorrei ringraziare tutte le persone disposte a mantenere la mente aperta, chi accetta la responsabilità di pianificare il futuro per sette generazioni, chi ricorda i sacrifici fatti dai nostri antenati perché potessimo continuare a parlare la nostra lingua ed essere grati alla nostra pelle come sappiamo esserlo. Se qualcuno di voi ha cibo in abbondanza per alimentare la propria famiglia, dia qualcosa a chi non è così fortunato. Se siete al caldo e vivete in case comode, per favore date qualcosa ai senzatetto, a chi soffre il freddo. Se vedete qualcuno che soffre e che abbia bisogno di una parola di conforto, porgetegli la mano. E, in particolare, se vedete un’ingiustizia in qualsiasi parte del mondo, abbiate il coraggio di alzare la voce e combatterla.

Voglio ringraziare tutti quelli che ricordano con affetto me e la mia famiglia nelle loro preghiere. Vi ringrazio di continuare ad appoggiarmi e di credere in me. Non passa un minuto senza che io speri che venga il giorno nel quale mi venga restituita la libertà. Io attendo con ansia il giorno quando potrò nuovamente sentire l’odore dell’aria fresca e pulita, quando potrò sentire di nuovo una soave brezza accarezzarmi i capelli, quando potrò essere testimone del movimento delle nuvole che nascondono il sole e quando potrò vedere la luna che illumina il sentiero verso il sacro Inipi. Quello sarebbe realmente il giorno che potrei chiamare “Giorno del Ringraziamento”.

Grazie di prestarmi ascolto. Il mio spirito è con voi.

Doksha.

Nello spirito di Cavallo Pazzo.

Leonard Peltier.”

Leonard Peltier e Munia Abu-Jamal sono due persone, attivisti politici, che sono rinchiuse da decenni in carceri statunitensi. Sono stati condannati, dopo processi a dir poco “pilotati”, a scontare l’ergastolo. Leonard è un nativo americano, Mumia un militante delle Pantere Nere. Sono stati condannati con prove e testimonianze risultate inconsistenti o addirittura estorte. Molte delle testimonianze furono successivamente ritrattate. Recentemente la giustizia della Pensilvania ha accettato che la difesa di Mumia Abu-Jamal possa ricorrere in appello. A Leonard Peltier, invece, questo non è permesso. Nonostante tutte le prove e le nuove testimonianze a sua discolpa, non potrà avere nessun appello. A lui, ormai quasi tre anni fa, è stata anche negata la grazia (l’ultima possibilità di tornare uomo libero) dal presidente Obama (al quale fu assegnato inopinatamente il premio nobel “preventivo” per la pace) con questa laconica comunicazione ai suoi avvocati: “La domanda di commutazione della pena del vostro cliente, il signor Leonard Peltier, è stata attentamente valutata in questo ufficio e alla Casa Bianca, e la decisione che abbiamo raggiunto è che la decisione favorevole alla richiesta del vostro cliente non trova giustificazione.  La richiesta del suo cliente è stata quindi respinta dal presidente il 18 gennaio 2017. In base alla Costituzione vigente, la decisione è inappellabile.”

Leonard e Mumia sono colpevoli di appartenere a popoli che sono stati e sono discriminati. Sono colpevoli di lottare per i diritti di questi popoli. Sono colpevoli, in definitiva, di essere nati nella “parte sbagliata del mondo”. Sono colpevoli, e questo il potere statunitense non li perdonerà, di essersi sempre dichiarati innocenti e di esserlo. Per tutto questo il potere li vuole distruggere. Vuole cancellare le loro intelligenze, la loro capacità di pensare. È lo stesso meccanismo di annientamento della ragione che il fascismo mise in pratica con Antonio Gramsci. Ma Leonard Peltier, Mumia Abu-Jamal, come Antonio Gramsci, continuano a ragionare e a farci sentire che sono ancora vivi e che lottano per un mondo migliore. Lo fanno come e quando possono, nel silenzio di un mondo sempre più conformista e legato a un “realismo capitalista” opprimente e totalizzante.

È necessario ascoltare queste voci ancora e per sempre libere.

Ne abbiamo bisogno tutti.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.