(Articolo sulle guerre non solo in Ucraina e Gaza da VicenzaPiù Viva n. 10, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Una delle caratteristiche del mondo contemporaneo è il ritorno a una situazione di incertezza sul piano geopolitico. Un’incertezza che – almeno per chi vive in Europa – è andata drasticamente aumentando negli ultimi due anni: prima con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e poi, più di recente, con la rappresaglia militare scatenata da Israele nella Striscia di Gaza in risposta agli attentati terroristici del 7 ottobre.
I conflitti nel mondo
Quelle in Ucraina e in Palestina, naturalmente, non sono le uniche guerre attualmente in corso nel mondo. In Italia ne sentiamo parlare molto e il nostro dibattito pubblico se ne occupa in misura conseguente, e questo per una serie di ragioni: perché si tratta di guerre che si svolgono a poca distanza da noi, come anche quella a Gaza, e perché quella in Ucraina è una guerra che coinvolge due attori statali “classici”, un’eccezione nel quadro contemporaneo: si tratta, infatti, dell’unico caso in cui il conflitto è causato dal fatto che un paese ne invade un altro, e i due governi sono ufficialmente in guerra.
Tutte le altre situazioni sono o guerre civili oppure casi in cui uno stato (o meglio il suo governo) è in guerra contro un soggetto non statale, ad esempio milizie separatiste, bande armate di trafficanti della droga o cellule terroristiche jihadiste ad esempio.
Vi sono quindi molti altri conflitti armati in corso, meno conosciuti se non totalmente sconosciuti ai più. Alcuni durano da anni, o persino da decenni. Quasi tutti sono accomunati da due caratteristiche, tra loro collegate: si svolgono in paesi relativamente remoti o che hanno comunque una scarsa connessione con l’Italia; e non ne sentiamo parlare mai, tranne in caso di sviluppi particolarmente eclatanti – o che coinvolgono in qualche modo dei nostri concittadini.
Una buona parte di questi conflitti “sconosciuti” si svolge in Africa. Negli ultimi decenni, le guerre civili in Sudan, Etiopia, Somalia e Nigeria hanno fatto centinaia di migliaia di vittime secondo le stime degli osservatori internazionali. I conflitti in Maghreb causati dagli estremisti islamici, che da decenni coinvolgono pressoché tutti i paesi del Nordafrica, hanno causato più di 70 mila morti, e ancor più ne hanno originati le guerre nate dalla ribellione del gruppo Boko Haram in Nigeria, Camerun, Niger e Ciad. Ma anche l’Asia è teatro di molte guerre perlopiù sconosciute al cittadino medio italiano. Anche escludendo le annose questioni che insanguinano il Medio Oriente (Israele, ma anche la Siria e la penisola arabica, di recente funestata della rivolta degli Houthi), il continente asiatico è teatro di diversi sanguinosi conflitti: la guerra civile in Myanmar, che negli ultimi due anni ha fatto decine di migliaia di vittime, o le guerre di confine tra Afghanistan e Pakistan e quella più recente tra Armenia ed Azerbaijan – solo per citarne alcune. Persino nel continente americano vi sono in corso conflitti armati che provocano la morte di migliaia di persone, come la faida senza fine scatenata dai signori del “cartello” in Messico e altri conflitti di natura simile in Colombia e ad Haiti.
Tutto questo, però, non deve indurci a pensare che il mondo stia inevitabilmente sprofondando in un caos globale fatto di guerra e distruzione. Per quanto atroci, i conflitti in corso negli ultimi decenni hanno causato un numero di vittime di gran lunga inferiore alle grandi tragedie del Novecento; in proporzione alla popolazione mondiale – letteralmente esplosa nel corso dell’ultimo secolo – il numero di morti causate da conflitti armati si è drasticamente ridotto se comparato ai secoli di storia che hanno proceduto l’età contemporanea.
Ciò non toglie che, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo, il mondo non è un posto sicuro e vi sono molti paesi in cui la guerra non rappresenta un’eventualità remota come lo è per noi o lo è stata vista la vicinanza preoccupante di alcuni conflitti.
Gli italiani e i conflitti alle porte
A rendere la guerra un evento così impensabile nella percezione degli italiani (e degli europei in generale) hanno contribuito quasi 80 anni di pace ininterrotta, perlomeno nella misura in cui gli stati europei non si fatti la guerra reciprocamente né sono stati vittime di un attacco militare da parte di stati extraeuropei. Anche questo, in parte, spiega perché la nostra società guarda alla guerra e a tutto ciò che la riguarda con orrore: un atteggiamento pienamente in linea con lo spirito della Costituzione italiana che all’articolo 11 (che recita: «l’Italia ripudia la guerra», anche se poi aggiunge e precisa «… come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»). Da quando le cronache relative ai conflitti armati sono tornati ad essere un elemento d’attualità quasi quotidiano, peraltro, sono state realizzate molte inchieste per indagare l’orientamento dell’opinione pubblica italiana. Ad essere sondate sono state in particolare – e non poteva essere altrimenti – le guerre tra Russa e Ucraina e quella tra Israele e Hamas.
Per quanto riguarda l’invasione dell’Ucraina, dopo un primo periodo (prima metà del 2022) in cui gli italiani erano in netta maggioranza solidali con il paese aggredito dalla Russia, e quindi tendevano ad approvare quasi tutte le misure prese dal Governo di allora (guidato da Mario Draghi), ben presto ha cominciato a emergere un sentimento misto di timore, disillusione e scetticismo.
Va detto subito che, sin da quando è esploso il conflitto, quasi nessun sondaggio ha mai registrato una maggioranza di italiani favorevoli all’invio di armi all’Ucraina, un impegno che il governo italiano ha tuttavia continuato a onorare anche dopo il passaggio di consegne tra Draghi e Meloni. Col passare del tempo, complice l’avvicinarsi della campagna elettorale per le Europee che ha indotto diversi partiti a posizionarsi su una linea “pacifista”, la percentuale di contrari è ulteriormente cresciuta. Secondo un sondaggio dell’istituto EMG, a febbraio solo un terzo degli italiani era favorevole all’invio di armi all’Ucraina, mentre il 38% si dichiarava da sempre contrario e un ulteriore 28% affermava di essere diventato contrario dopo essere stato inizialmente favorevole.
Sulla guerra in corso a Gaza, le opinioni degli italiani sono molto nette: l’attacco del 7 ottobre a Israele è tuttora largamente condannato, ma lo è anche – e in misura molto netta – l’operazione di rappresaglia portata avanti da allora dal governo di Israele, che ha raso al suolo Gaza causando migliaia di vittime anche tra i civili e centinaia di migliaia di sfollati. Negli ultimi mesi i sondaggi hanno registrato una maggioranza via via crescente di italiani insofferenti verso le azioni militari di Israele: se in un sondaggio di Noto di gennaio il 60% era dell’opinione che Israele dovesse fermare la guerra “in ogni caso”, a febbraio un’indagine di EMG rilevava un 65% di italiani secondo i quali era necessario “imporre [a Israele] un cessate il fuoco”; la stessa posizione, il mese dopo, veniva ribadita dal 68% degli intervistati da Demopolis; e infine, a maggio, il 70% degli italiani si diceva d’accordo con la necessità che Israele si fermasse.
Gli italiani e la guerra
Non sappiamo se (o quando) le speranze e gli auspici degli italiani in merito a questi due conflitti si realizzeranno. Sappiamo, però, che, rispetto agli altri europei, i cittadini del nostro Paese sono molto più “ostili” rispetto alle questioni belliche, ad esempio la NATO e l’appartenenza del nostro paese all’alleanza atlantica (come ricordano bene gli abitanti di Vicenza, città protagonista di una lunga diatriba riguardante il raddoppio della base militare statunitense). Questo si riflette anche sulla propensione degli italiani a dichiararsi disposti a prendere le armi in prima persona.
Anche se molti temono che la Russia potrebbe un giorno attaccare l’Europa (il 59% secondo Demopolis), ben il 76% si dichiara indisponibile ad arruolarsi in caso di un conflitto che coinvolga il proprio paese, secondo quanto emerge da un sondaggio condotto dalla società di Renato Mannheimer. Resta da sperare che una simile, tragica prospettiva non debba mai verificarsi.