Un Vicentino di cui essere orgogliosi: al Museo egizio di Torino il direttore Christian Greco dà una lezione a Giorgia Meloni. Lui è arzignanese

644

Credo che tutti i Vicentini debbano essere orgogliosi di Christian Greco. Anch’io lo sarei se fossi Vicentino. Anch’io lo sono, perché un po’ Vicentino mi ci sento, avendo vissuto a Vicenza quindici mesi della mia vita e dirigendo ora VicenzaPiu.com da quando il precedente direttore, pur non dovendolo fare, mi ha lasciato l’incombenza essendosi candidato per il Senato. Anch’io lo sarei orgoglioso, anche se neanche un po’ fossi o mi sentissi, Vicentino. Questo quarantenne nato ad Arzignano ha dato una lezione – nel senso oggettivo del termine, una lezione di altissima cifra etica e culturale – ad un leader politico, ex ministro che aspira ad assumere cariche ancora più alte nei ruoli della Repubblica.

La lezione è andata in scena in piazza, non a Vicenza ma a Torino, e i Vicentini, come il resto del mondo, hanno potuto seguirla a distanza e a cose fatte.

La “lezione” non era prevista e, a dire il vero, più che del giovane di Arzignano, è “merito” – nel senso che se l’è cercata – di Giorgia Meloni la quale, in tour elettorale, si è fermata dinanzi al Museo egizio per gridare contro il “razzismo che c’è ed è a danno degli Italiani“. La prova? Lo sconto sui biglietti d’ingresso per i cittadini in lingua araba.

E chi sarebbe il responsabile? Il direttore del Museo, Christian Greco appunto, il quale, anziché eludere le critiche, ha deciso di affrontarle di petto. Non con una comoda dichiarazione alla stampa, ma scendendo in piazza e parlando a viso aperto con Giorgia Meloni. Alla quale ha detto: «Siamo il primo museo archeologico d’Italia, dialoghiamo con tutti e facciamo attività pubblica di inclusione per avvicinare il più possibile il pubblico al museo. Accogliamo senzatetto, andiamo negli ospedali e nelle carceri e con questa promozione cerchiamo di avvicinare quelle persone che in Egitto non si sono avvicinate al loro patrimonio. Per quanto ci riguarda, il nostro museo è di tutti e non siamo d’accordo che si prenda una delle tante promozioni che facciamo e la si demonizzi a uso politico».

La lezione non è solo nelle parole dette, ovvie ed elementari per chiunque creda nella cultura e nella civiltà universale dell’uomo, ma anche nella scelta di lasciare l’ufficio, scendere in piazza, consegnare a Meloni un libro sulla storia del museo e un biglietto d’ingresso, solo a lei, proprio a lei: altro gesto di parte o, addirittura, “razzista“?

Questa lezione però sarebbe incompleta e non così densa di significato se ignorassimo la biografia di questo Vicentino, nato da padre siciliano e dal cognome vagheggiante l’origine di una delle più importanti civiltà della storia umana. In Sicilia, e nel Sud, il cognome “Greco” è molto diffuso, retaggio di quell’aggettivazione territoriale attribuita ai coloni venuti dalla madrepatria nell’isola e nella “Magna Grecia“.

Quale che sia l’influsso venuto dalla biografia dei propri lontanissimi avi, a soli 39 anni, questo Vicentino quasi sconosciuto in Italia, nel 2014 è stato prescelto per dirigere il Museo di Torino che è il più antico museo egizio del mondo, il secondo per importanza dopo quello de Il Cairo, ed il più grande museo archeologico italiano. Prescelto tra 101 candidati, oltre metà dei quali stranieri e tutti dal solidissimo curriculum internazionale. Christian di titoli da esibire, tutti acquisiti sul campo, ne ha avuti di ancora più convincenti. Frutto dei 17 anni trascorsi all’estero, come tanti giovani ricchi di passione e di talento cui l’Italia da decenni sbatte la porta in faccia.

Una passione ed una scelta di vita per il piccolo Christian, turista a 12 anni nella Valle dei Re con il papà architetto e la mamma negoziante. Una scelta difficile, sconsigliata dai genitori e dai suoi stessi maestri.

L’Erasmus, in Olanda, la svolta. Un’esperienza durissima, perché allo studio, anche del nederlandese (necessario per insegnare latino e greco in questa lingua, una delle più difficili al mondo), accompagnò il lavoro notturno di pulizia nei bagni pubblici della stazione e il servizio di guardiano in un hotel le notti di fine settimana: «Tornavo a casa – ha raccontato di recente dopo essere stato scoperto in Italia – alle 7 del mattino, facevo la doccia, e andavo di corsa in aula. Ho imparato la dignità del lavoro, qualunque esso sia. Ho imparato che è importante chi sei, non cosa fai. Io sarò sempre un egittologo, anche se dovessi tornare a servire birra in un bar, e non certo perché oggi ho un ruolo».

Christian era partito da Arzignano e, dopo la maturità classica conseguita al “Pigafetta” di Vicenza, era approdato al Collegio Ghislieri di Pavia, scuola di eccellenza, e, sempre a Pavia, alla laurea in lettere classiche con tesi in Archeologia del Vicino Oriente antico. A 21 anni quell’esperienza in Olanda gli valse una campagna di scavi, con l’impegno a pubblicare tutti i materiali metallici raccolti nei pressi di Aleppo.

«Complimenti, state per cominciare a studiare la disciplina più bella del mondo, sappiate però che nessuno di voi troverà un lavoro» gli aveva detto all’inizio della prima lezione il professor René Van Walsen. Ma Christian non si è arreso ed ha scelto di vivere la vita per cui è nato: essere egittologo, fare l’egittologo.

Nei 17 anni fuori dall’Italia, per sostenersi è stato anche direttore d’albergo (perché il suo talento contempla anche doti di manager) ma sempre e solo per potersi dedicare anima e corpo alla sua passione. E realizzare così una serie impressionante di pubblicazioni scientifiche apprezzate in tutto il mondo, insegnare nei “templi” dell’egittologia mondiale, curare una delle collezioni egizie più importanti d’Europa, nella città olandese che lo ha accolto, lo ha formato, lo ha reso il se stesso di cui, a Vicenza, in Italia, avrebbe dovuto spogliarsi, come, amorevolmente, lo esortavano a fare i suoi stessi genitori.

I risultati straordinari conseguiti come giovanissimo direttore del Museo delle antichità di Leiden – tra lezioni tenute in ogni parte del mondo, campagne di scavi tra le radici della civiltà che lo ha “stregato“, esposizioni museali e progetti innovativi – ne hanno fatto il candidato che quattro anni fa la “Fondazione delle Antichità egizie di Torino” ha voluto porre alla guida del Museo, poco prima del raddoppio dei suoi spazi.

Una realtà prestigiosa alla quale Greco ha messo le ali, raddoppiando i visitatori fino ad un milione l’anno, moltiplicando gli incassi giunti a dieci milioni, e realizzando utili per 800 mila euro l’anno.

Senza contributi pubblici ne ha fatto un grande centro di ricerca, una sorta di agorà aperta, con progetti di public archeology e digitalizzazione degli archivi, capaci di far viaggiare nel mondo i gioielli di un museo, unico dopo quello de Il Cairo.

In questa strategia da egittologo di livello internazionale e da manager brillante, il primo cruccio di Christian è di portare dentro il Museo – da ogni luogo del pianeta, da ogni condizione sociale – quante più persone possibili. Per questo periodicamente lancia le sue promozioni intelligenti, per giovani, anziani, studenti, gruppi, di cui studia e sollecita il potenziale interesse.

Per tre mesi ha lanciato lo sconto per le persone di lingua araba, quelle che hanno o hanno avuto l’antico Egitto vicino casa ma che per varie ragioni non lo hanno potuto incontrare. Tutto qui.

Ma Giorgia Meloni, di lingua “romana” – e probabilmente anch’essa finora mai “catturata” dalla bellezza di un museo egizio, di Torino o del Cairo – ne fa la scoperta solo ora, in tour elettorale, attratta unicamente da quello “sconto razzista” che – non sapendo evidentemente comprendere le parole – ritiene rivolto a persone “di fede musulmana” e non “di lingua araba“, tra le quali quindi anche tanti cristiani e seguaci di altre confessioni, come invece, inequivocabilmente, chiarisce la promozione.

Ma questo è il problema dell’Italia, il luogo in cui il talento e l’applicazione quasi mai regalano successi, tranne che in politica. Dove basta solo la seconda.

Del resto “tàlanton” è la vecchia unità di peso, e al tempo stesso somma di danaro preziosa e pesante (un solo pezzo valeva più di venti chili d’argento) usata dagli antichi Greci.

Grazie alla parabola evangelica, talento nella nostra lingua viva significa dote: se ne è naturalmente provvisti, e se non c’è non si può imparare; significa inclinazione: troppo più profonda di una capacità, troppo più radicata di una passione, troppo più caratterizzante di un volto o di una maniera, per poter essere riprodotta o finta; significa “taglio” del sé. Niente che si possa improvvisare o inventare, ma valore esorbitante, prezioso, eccessivo e riconoscibile.

In politica non serve.
In tutti gli altri campi moltissimi politici – governanti e legislatori – ignorano il talento o fanno di tutto per spegnerlo o relegarlo, e regalarlo, ad altri paesi.
Purtroppo spesso vi riescono, per sempre.
Ogni tanto qualcuno di questi “talenti” torna.
Per regalarci una lezione come questa.