A seguire la storia sacra gli uomini hanno un’unica origine, Adamo ed Eva da cui discendono tutti gli uomini; da Noè con i figli Sem, Cam Iafet gli uomini si differenziarono in Semiti, Camiti e come afferma il Genesi (10,5):” Da costoro derivarono le nazioni disperse per le isole nei loro territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni.” Non “razze, ma diremo oggi etnie e quindi culture diverse. Con il Nuovo Testamento non esistono differenze di razza, ma di fede; pertanto la divisione è tra Ebrei, Gentili, poi detti pagani e Cristiani, Questa distinzione è stata pressoché seguita fino al secolo dei lumi.
Infatti la differenza era rimarcata sulla base della fede religiosa o di usi e costumi. Gli Ebrei erano diversi dai cristiani per fede e praticavano l’usura, come ben attesta Il Mercante di Venezia di W. Shakespeare. Certo le differenze non erano facilmente accettate come dimostrano le persecuzioni, ma la loro natura non era “razziale”, non a caso molti tra cui Erasmo, ma non certo Lutero che invece li perseguitava, consideravo molto negativo il fatto di infierire sul popolo di Israele. Anzi N. Cusano sosteneva che essendo sempre unica la fede e diversi i riti dei cristiani, degli ebrei e degli islamici, non vi dovesse mai esservi lotta tra loro (cfr. de pace Fidei).
Certamente la scoperta del Nuovo Mondo, e successivamente di maggiori conoscenze del continente africano e di quello asiatico porteranno all’attenzione della riflessione la presenza di “selvaggi” che in precedenza non erano nemmeno conosciuti e l’impatto non fa facile, tanto che qualcuno strumentalmente ipotizzava che quelli “non fossero uomini”. Furono parole solo strumentali. Monsignor de las Casas precisò subito la natura umana degli indigeni americani e si cercò di frenare l’ingordigia degli europei nei loro confronti, che spesso non riuscì, ma non si trattava di rivendicare una differenza di razza, ma più semplicemente di avidità europea, che non fu solo degli spagnoli, ma anche dei portoghesi, francesi, inglesi ecc.
J. Locke nel secolo diciassettesimo propugnò una parziale tolleranza tra le varie confessioni cristiane, escludendone solo i cattolici e gli atei, ma il suo intento pacificatore era di buona natura, come quello propugnato in Francia dal Cancelliere M. de l’Hospital. Si trattava di accogliere e accettare delle differenze, ma non certo entravano in considerazione le differenze che gli uomini manifestavano dal punto di vista fisico.
Sarà il secolo dei lumi, quello tanto caro agli intellettuali odierni, a porre in modo preciso e netto il tema della differenza tra le razze. In modo preciso ci si chiese il perché gli uomini erano diversi tra loro, non bastando le storia sacra e le diversità di usi e costumi, che erano conosciute grazie alle numerose relazioni di viaggio degli europei nelle varie parti del mondo (cfr. M. Duchet, Le origini dell’antropologia, Roma, Laterza, 1976, 4 voll. o S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento; Con una appendice di testi, Roma – Bari, Laterza, 1978). Gli studiosi, particolarmente quelli dell’Università di Gottinga in Germania proposero diverse ipotesi. Tutte, però, affermavano che gli uomini avevano un’origine comune e che le differenze di razza derivavano soprattutto da questioni climatiche, come aveva già sostenuto Plinio il vecchio, per cui gli abitanti dell’Africa erano più “scuri” perché più esposti al sole.
Altri sostenevano l’origine dell’uomo nel Caucaso e la sua differenziazione che aveva però finito con il privilegiare la razza bianca e in questa quella ariana. Per chi volesse approfondire rimandiamo a L. Marino, I maestri della Germania, Torino, Einaudi, 1975.
La direzione fu tracciata nella direzione delle ricerche scientifiche. K. Linneo nel suo trattato Systema naturae del 1758, sostiene che l’uomo appartiene all’ordine dei primati ed è costituito da due specie: Homo sapiens e Homo troglodytes da cui discendono le scimmie antropomorfe. La specie sapiens è costituita invece da diversi sottogruppi, o razze: europeus, asiaticus, americanus, afer (africani), monstruosus e ferus (uomini inselvatichiti). Lo studioso svedese ricorre a “strane “distinzioni per suddividere le razze, principalmente ai caratteri somatici, ma anche al modo di vestire.
Il Buffon, celebre naturalista ed anticipatore delle teorie evoluzionistiche nella sua Histoirie Naturelle del 1749 ipotizza che l’origine delle diverse razze dipendono dal clima, dal cibo, dai modi di vita, anche dalle malattie e dalle unioni di individui simili, che trasmettono le loro caratteristiche ai figli di generazione in generazione. Tutto ciò stabilisce le differenze, ma anche una sorta di gerarchia tra i vari tipi di uomini presenti nelle varie parti del mondo.
Le dissertazioni sulle differenze di razza coinvolsero anche il filosofo I. Kant, che considera però soprattutto le differenze di carattere somatico. Un dibattito lungo, che però non mise mai in dubbio la comune origine del genere umano. Le razze distinguono e stabiliscono anche differenze notevoli tra gli appartenenti all’una o all’altra.
La riflessione illuminista stabilisce la superiorità dell’Europeo e considera la civiltà solo dal proprio punto di vista. L’eurocentrismo dominerò le considerazioni sugli uomini fino al ventesimo secolo. Ben considera ciò proprio D. Defoe quando nel suo Robinson Crusoe afferma che i selvaggi possono, se educati diventare dei perfetti gentleman inglesi, come accaduto a Venerdì, educato ad essere civile. Interessante prospettiva che riconosce comunque un’identità possibile.
La stessa riflessione del secolo dei lumi, che continua però a stabilire differenze e superiorità, come ben attesta Juifs di Voltaire, dove la sua tolleranza non è certo verso gli Ebrei, aprirà nel secolo successivo a quelle indagini “scientifiche” che approderanno al concetto di razza quale è utilizzato ancor oggi e che è stato, purtroppo lo sappiamo, fonte di una tragedia che mai si sarebbe pensata e della quale bisogna conservare non solo memoria, ma anche spirito di condanna.
La teoria delle razze sarà ben precisata nel 1859 dal testo l’Origine delle specie di C. Darwin, che pone il punto fondamentale per il problema delle razze stesse. Le specie viventi, afferma lo studioso, non sono statiche, ma si modificano, evolvono, compresa quella umana nel tempo e in relazione a quello che muta negli ambienti nei quali vivono. Non vi sono razze superiori, ma solo razze che si sono adattate alle diversità di zone nelle quali si sviluppano, e ciò per sopravvivere alle condizioni che vi trovano. Accanto a ciò quella che si chiama anche selezione sessuale, distinta da quella naturale, ma operante anch’essa.
A tutt’oggi questa teoria appare insuperata, anche se nella riflessione intorno all’uomo, ha subito varie trasformazioni, soprattutto in considerazione della possibilità di considerare una parte dell’umanità superiore rispetto ad un’altra. Oggi si riconosce con precisione che queste teorie poco o nulla hanno di “scientifico”, eppure furono credute tali e condivise sia per opportunità culturale, ma soprattutto per “vantaggio” politico.
Non a caso, giova ricordarlo proprio tra le fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento nascono i due grandi indirizzi di razzismo. Il primo punta sulla natura e stabilisce una differenza tra gli uomini che è studiabile su basi scientifiche, la seconda di ordine ideologico, che stabilisce la superiorità di una visione politica rispetto ad un’altra e la possibilità di negare la stessa esistenza a coloro che professano prospettive politiche non accettabili o non in sintonia con il potere dominante. Realtà sconvolgente di questi due razzismi i Gulag e i Lager.
Le atrocità prodotte da ambedue sono ancor oggi ben chiare e negarle, come talora si fa, soprattutto per i Gulag, non appartengono ad una considerazione almeno dignitosa della vita fisica e intellettuale degli esseri umani. Ma accade.
Certo le analisi scientifiche, lo attestano i lavori di C. Levi Strauss, (cfr. Tristi Tropici), che cercò di superare la visione fisiologica delle differenze tra i vari gruppi umani e propese per un’indagine etnologica, cercando di comprendere le varie culture nella loro specificità e non in rapporto ad altre, soprattutto a quella europea che si considerava superiore. Ogni gruppo umano, detto ancora “razza” si era adattato a vivere in quei tempi e quei luoghi a seconda delle varie situazioni che vi rinveniva. Le analisi quindi ritornano a quella visione che distingue gli uomini non per aspetti di apparenza fisici, ma culturali. Quindi non “razze”, ma etnie.
Certo sopravvivono ancora da un punto di vista “biologico” le razze, ma il termine è usato più per il mondo animale, che per quello umano, con il solito corollario che vi sono coloro che ritengono l’uomo solo uno degli animali terrestri e quindi…
Ma il punto fondamentale che oggi sembra essersi radicato, almeno in generale, è che esiste un solo genere umano; le differenze di gruppo o di individuo non attestano né superiorità né fisica né intellettuale di un gruppo rispetto ad un altro.
Bene però fa l’attenzione politica o ricordare che si utilizza ancora il termine “razza” in senso negativo e che quindi alta deve essere l’attenzione, ma non solo per la visione “fisica”, ma anche per quella “culturale” e soprattutto per quella “politica” o, meglio del politically correct, che sociologicamente finisce per non rispettare nemmeno la diversità di pensiero, ma si trincera dietro la sicurezza che la ragione umana, la propria, sua comunque superiore alle altre. Per superare ogni razzismo ci vuole autentica tolleranza, che non è quella di origine illuministica, ma è quella che pensa che chi è diverso dal proprio pensiero, possa avere ragione, essere nella verità e quindi con lui si dialoga, si vive e soprattutto si apprezza.
Non è sempre facile, perché si preferisce “sopportare” la diversità, ma invece questa è una ricchezza e va vissuta con la dimensione della pace, che non è mai il risultato della fine di un conflitto, ma l’inizio di una relazione, per la quale serve disponibilità e soprattutto una tensione a non operare solo per sé e il proprio gruppo, ma tenendo sempre in mente che qualsiasi cosa si pensi o si compia è nella dimensione dell’umanità. Se questo non sia, allora è bene dirlo, anche con parole forti, denunciando la negatività di pensieri e atteggiamenti che spesso sono più di apparenza, di culto di appartenenza, che non di sostanza.
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