Il calo delle iscrizioni come sintomo del problema
Emergenza pandemica alle spalle, si riduce ulteriormente il numero delle immatricolazioni, specie presso gli Atenei del Mezzogiorno.
La situazione è più preoccupante in Campania, con un saldo negativo di 9.403 immatricolazioni perse nell’ultimo anno accademico. Nonostante la nuova tendenza alla didattica a distanza, anche gli iscritti alle università telematiche sono in significativa diminuzione.
Secondo l’analisi di Eurostat, il 41% dei giovani dell’Unione europea tra i 25 e i 34 anni possiede un diploma universitario; per l’Italia la percentuale è del 28%. Le donne laureate sono largamente più numerose degli uomini: si conta il 47% della popolazione femminile rispetto al 36% della platea maschile. A tal proposito, Eurostat ricorda che «Gli Stati membri dell’Ue si sono posti l’obiettivo di aumentare al 45% entro il 2030 la quota di popolazione laureata», percentuale già raggiunta da Lussemburgo, Irlanda, Cipro, Lituania, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Svezia, Danimarca, Spagna, Slovenia, Portogallo e Lettonia.
Sotto la media europea finisce anche la Germania, mentre l’Italia è al penultimo posto della classifica, poco meglio della Romania e dopo l’Ungheria.
Di recente, sono stati varati i provvedimenti ministeriali che definiscono, in via provvisoria, i posti disponibili per l’accesso al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria, Veterinaria e Professioni sanitarie per l’a.a. 2022/2023. Per Medicina è previsto un aumento del 5%.
Il potenziale formativo inserito dalle Università in banca dati è di 14.740 posti per i candidati dei Paesi europei e non europei residenti in Italia, a fronte dei 14.020 dello scorso anno, e di 1.136 per i candidati dei Paesi non europei residenti all’estero. Per infermieristica la crescita è del 3,5%, con 31.730 posti disponibili.
Le cause delle sempre minori iscrizioni, secondo il Censis, sono da rinvenirsi nelle minori disponibilità economiche, nelle rette troppo elevate e nelle strutture non adeguate. La pandemia ha contribuito poi al generale sentimento di sfiducia nel futuro, nonostante sia pacifico che la laurea offra maggiori opportunità occupazionali.
Con particolare riferimento alla situazione del sud Italia, la questione è anche demografica: nel Mezzogiorno i giovani diciottenni sono diminuiti, mentre nel centro-nord la situazione è stabile. Nei prossimi quindici anni, almeno secondo le proiezioni dell’Istat, il divario nei trend demografici si amplierà ulteriormente, ma il numero di giovani in età di immatricolazione scenderà anche al centro-nord.
A parità di propensione a continuare gli studi, quindi, gli scenari saranno sfavorevoli per tutti gli Atenei.
Al fine incrementare il numero delle iscrizioni al Sud, sarà necessario intraprendere politiche volte a un innalzamento della attrattività e, a monte, della qualità dell’offerta formativa delle Università, specie meridionali, che mostrano ritardi nell’adeguamento dei servizi e nella didattica (almeno secondo le percezioni degli studenti), come nella crescita della ricerca.
Questo vorrà dire anche investire di più e meglio, aumentando i fondi e le risorse. Si consideri che, tra il 2009 e il 2015, l’ammontare dei fondi destinati al sistema universitario si è ridotto di circa il 20% in termini reali, con la conseguente forte riduzione sia del numero dei docenti sia del personale amministrativo. Nella distribuzione delle risorse non può non aversi conto delle difficoltà territoriali e della presenza di aree penalizzate anche dagli andamenti demografici.
Occorre puntare al ripristino di un’autonomia responsabile degli Atenei, proiettata a garantire vitalità e dinamicità ai meccanismi di formazione e diffusione del sapere; allo scopo, è essenziale, tra l’altro, predisporre nuovi meccanismi di distribuzione di premialità e incentivi, basati su principi di efficienza e responsabilizzazione del sistema, secondo parametri ispirati a equità, tenuto conto delle specifiche variabili ambientali con particolare riguardo alle specificità delle aree e con
esclusione del riferimento a parametri che sfuggono al controllo dell’ente e che prescindono dalla qualità del servizio offerto.
In particolare, per evitare diversificazioni normative ingiustificate e, dunque, discriminatorie, da ridimensionare dovrebbe essere
i) il peso affidato alla capacità attrattiva dei singoli poli ai fini della determinazione del livello dei risultati nel campo della didattica, capacità spesso connessa a tradizione, collocazione topografica, disponibilità di risorse da investire nel marketing, andamento del mercato del lavoro locale, propensione alla mobilità degli studenti, contesto sociale e familiare, etc.;
ii) l’incidenza del tasso di occupazione dei laureati (triennali e magistrali) a dodici mesi dalla laurea.
Sarà anche importante rivisitare i sistemi di misurazione della qualità della ricerca, verso processi valutativi non inutilmente burocratizzati, affidati a logiche algoritmiche e alla base di classifiche artificiose, ma calibrati sul merito del rendimento, in considerazione anche della diversità delle aree scientifiche e dei contesti territoriali; e ristrutturare poteri e competenze dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, anche con riferimento alle attività di valutazione della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici, di indirizzo dei nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca, e di valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione alle attività di ricerca e di innovazione.
FONTI
Come risvegliare l’ università del mezzogiorno- Lavoce. Info
Università, scendono le immatricolazioni ed aumenta la disparità tra i sessi. Le parole del ministro Messa- Voglio insegnare
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Fonte: Un’Università nuova