Un tempo volare da un capo all’altro del pianeta era costoso e impegnativo. Proprio per questo, ti sentivi sempre un po’ privilegiato a poter raccontare di aver visitato l’America, l’Australia o anche solo la Spagna. Con l’avvento delle compagnie low cost è diventato tutto più facile e alla portata di chiunque; al punto che se trascorri le tue vacanze in Italia “sei uno sfigato”. E, invece, gli itinerari culturali che è possibile disegnare nel nostro Paese sono unici al mondo, siamo solo poco bravi a pubblicizzarli!
Il Lazio, ad esempio, è la regione ideale per fare un viaggio nel tempo a caccia dei nostri più antichi antenati. Se, da un lato, le grotte del Circeo hanno offerto uno spaccato importantissimo sui nuclei di Neanderthal vissuti a lungo – e, probabilmente, anche in contemporanea con i Sapiens – in loco, dall’altro non tutti sanno che i primi ritrovamenti di questo tipo sono stati fatti in località Sacco Pastore, in un contesto molto più interno ad oltre un centinaio di chilometri dal sito costiero.
Cronache di un ritrovamento epocale – Dell’Uomo di Saccopastore tanto si è detto e scritto: se n’è occupato anche il famoso divulgatore Alberto Angela, proponendo una ricostruzione dettagliata del ritrovamento all’interno di un suo programma. Si tratta di una di quelle scoperte casuali che hanno cambiato per sempre molto di quello che pensavamo di sapere. L’evento ha posto gli studiosi davanti ad un interrogativo decisamente entusiasmante: questi ominidi erano dei Neanderthal oppure appartenevano ad un altro tipo di specie non ancora conosciuto?
A fare da sfondo a questa vicenda c’è il famoso monumento alla Breccia di Porta Pia, innalzato per celebrare la liberazione di Roma dal dominio del Papato (1870): nessuno poteva pensare che, proprio in quello stesso punto, un tempo c’era un viavai di ominidi che vivevano nel circondario dell’Aniene. Alcuni crani, infatti, sono stati ritrovati non lontano (in località Saccopastore, appunto) a inizio Novecento.
Lo scenario che dobbiamo immaginare è una Roma molto diversa da quella che troviamo adesso in quella zona: tanta campagna e poche case. Siamo nel maggio 1929, all’interno di una cava di ghiaia che era tutto ciò che rimaneva di un antichissimo fiume (in realtà, un meandro dell’Aniene) di 125mila anni fa: sulle sue sponde erano morti animali preistorici e ominidi e, per questo, ogni tanto restituiva quale fossile. Erano in corso dei lavori e sotto il piccone di un operaio (a più o meno 6 metri di profondità) apparve qualcosa di simile ad un grande sasso, una roccia molto dura che l’uomo provò a scalfire trapassandola da parte a parte; purtroppo, rovinando per sempre quello che era, invece, un cranio appartenuto a qualcuno vissuto centinaia di migliaia di anni fa. Era il primo Uomo (anzi, donna!) di Saccopastore che veniva alla luce. Il cranio fu estratto a mano e senza troppe cautele da quello stesso operaio, che lo strappò dal terreno con una forza tale da lasciare parte dell’osso frontale e qualche dente nei sedimenti; l’incredibile reperto restò qualche giorno nella baracca degli attrezzi finché non venne informato il proprietario della cava, il Duca Mario Grazioli. A quel punto, per quell’ominide che aveva così a lungo riposato nel sottosuolo romano cominciò un nuovo viaggio. Arrivò nelle mani di Sergio Sergi, importante antropologo italiano, che capì quanto quel ritrovamento fosse significativo. Era il cranio più antico d’Italia. Le grandi orbite dove un tempo si trovavano gli occhi gli fecero subito pensare ad una fisionomia Neanderthal e già in quell’occasione si intuì che, in realtà, probabilmente si trattava di una (giovane) donna, perché le dimensioni delle ossa erano abbastanza contenute.
Qualche anno dopo, nello stesso luogo, venne ritrovato un altro cranio. I protagonisti di questo “secondo episodio” li conosciamo bene: sono Henri Breuil (il “Papa della preistoria” a cui è intitolata la Grotta Breuil sul Circeo) e Alberto Carlo Blanc (paleontologo e geologo, scopritore dei resti Neanderthal nelle grotte del Circeo e marito di Elena Aguet, nipote del barone che fu proprietario del feudo). Nel 1935, il giovane Blanc aveva accompagnato l’illustre collega alla cava, ormai abbandonata, diventata famosa per quel ritrovamento di sei anni prima. Esaminando i riaffioramenti degli strati geologici, i due si chinarono a raccogliere conchiglie fossili e si resero conto che, da una parete semi-franata, affiorava un oggetto strano che riconobbero immediatamente. Era il secondo cranio di Saccopastore (uomo adulto), che giaceva a soli 3 metri di profondità. Nel giacimento vennero rinvenute anche ossa di animali preistorici vissuti all’epoca dell’ultima fase interglaciale avvenuta circa 125mila anni fa (Riss-Würm), come l’elefante dalle zanne dritte (Palaeoloxodon antiquus).
Non si conoscono i dettagli dell’antichissima coppia: i più romantici hanno pensato ad un legame sentimentale; gli esperti, però, hanno riferito che potrebbero tranquillamente rappresentare anche un nonno e una nipote.
Un ominide unico nel suo genere – Per molto tempo gli studiosi si sono divisi sulle origini di questi ominidi, ma una cosa è certa: questi ritrovamenti sono considerati come i più importanti del settore in Italia e sono oggetto di approfondimenti anche a livello internazionale.
In effetti, entrambi i crani presentano arcate sopracciliari pronunciate e altre tipiche caratteristiche dell’Uomo di Neanderthal, anche se in forma “più primitiva”; tuttavia, alcuni caratteri – come l’appena accennata fossa canina mascellare – li fanno sembrare addirittura più vicini ai Sapiens.
Oggi i crani sono conservati all’Istituto di Paleontologia Umana dell’Università Sapienza di Roma, ma sono tanti i segreti che ci stanno rivelando.
È stato appurato che si tratta di esemplari appartenenti alla categoria dell’Homo Neanderthalensis, anche se in una fase antecedente a quella più conosciuta, una sorta di forma arcaica di Neanderthal di transizione (post Anteneandertaliani e pre neandertaliani). In un primo momento si è pensato che la datazione potesse essere contemporanea a quella dei resti animali ritrovati in loco, anche basandosi sul periodo storico in cui si è sempre pensato che i Neanderthal abbiano colonizzato i nostri territori. In realtà, più recentemente è emerso che questi reperti costringerebbero gli studiosi a retrodatare la comparsa di questa specie in Italia di ben 100mila anni, spostando le lancette dell’orologio a 250mila anni fa.
La nuova datazione – Nel 2015, l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), in collaborazione con l’Università Sapienza e l’Università americana del Wisconsin-Madison, ha lavorato ad una nuova datazione dei sedimenti scoperti, ormai, oltre 80 anni fa nel sito di Saccopastore. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Quaternary Sience Reviews. Con un’analisi basata sull’identificazione degli elementi radioattivi presenti nei reperti è stato dimostrato che:
I resti di Saccopastore sono più vecchi di oltre 100mila anni rispetto a quanto sinora ritenuto, portando l’età del Neanderthal in Italia a 250mila anni fa.
Fabrizio Marra, responsabile dello studio dell’Ingv.
Si andrebbe, quindi, all’epoca della penultima glaciazione!
Il sito – È interessante capire quale sia la collocazione esatta del sito. Saccopastore è il nome, attualmente in disuso, del territorio adiacente a Via Nomentana a lato destro del fiume Aniene, che lo circonda negli altri tre lati. Oggi ricade nel Quartiere delle Valli e, dal punto di vista geologico, individua il più recente dei tre distinti livelli (cioè terrazzamenti di depositi alluvionali) formatisi in fasi diverse del Pleistocene medio e superiore nella bassa valle dell’Aniene, oggi inglobata nella periferia nord-orientale di Roma.
La cava di antica ghiaia di fiume, in seguito ai ritrovamenti, è stata sepolta per costruire gli edifici che adesso costeggiano la Tangenziale Est ma, da lì, tantissimi studi importanti si sono susseguiti; tra cui proprio le campagne di scavi che, dalla Grotta Guattari, portarono Alberto Carlo Blanc in giro per tutte le preziose e insondate cavità del Circeo alla ricerca delle nostre più remote origini.