Vajont, a 60 anni dalla tragedia Consiglio Regione Veneto in seduta straordinaria a Longarone

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Longarone, disastro del Vajont tragedia
Longarone, disastro del Vajont

Il Consiglio Regionale del Veneto ricorda la tragedia del Vajont e promuove la conservazione della memoria collettiva come presidio civico perché non si ripetano mai più simili disastri”. Questo il titolo della Risoluzione che verrà votata dall’assemblea legislativa veneta, mercoledì 4 ottobre 2023, in seduta straordinaria convocata, in conformità alla deliberazione dell’Ufficio di Presidenza n. 51 del 26 settembre 2023, nella sala consiliare del Municipio di Longarone, in provincia di Belluno, in occasione del 60esimo anniversario della tragedia del Vajont.

La Risoluzione è stata presentata e sottoscritta dall’Ufficio di presidenza dell’assemblea, Roberto Ciambetti, Nicola Ignazio Finco, Francesca Zottis, Erika Baldin, Alessandra Sponda, e dai presidenti di tutti i gruppi consiliari, Alberto Villanova, Giuseppe Pan, Vanessa Camani, Enoch Soranzo, Elisa Venturini, Cristina Guarda, Elena Ostanel, Tomas Piccinini, Stefano Valdegamberi, Fabiano Barbisan e Arturo Lorenzoni.

Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell’omonima valle (al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga.

La conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.910 persone, tra cui 487 persone di età inferiore a 15 anni.

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolo i dati a loro disposizione, con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.