E così la fede e i simboli religiosi sono entrati a Palazzo Madama. Non è certo la prima volta (e non sarà neanche l’ultima), ma vista l’occasione, la cosa colpisce in modo particolare. Sono, infatti, diventati uno degli argomenti che ha infuocato il dibattito politico svoltosi nell’aula del Senato, martedì scorso, in occasione della presentazione delle dimissioni da parte del presidente del consiglio Giuseppe Conte. È stato il momento quando è andato in scena lo scontro totale e finale tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini.
Il premier, tra i vari sassolini che si è tolto rispetto al suo vicepremier, c’è anche quello di non condividere l’uso frequente che il leader leghista fa dei simboli religiosi nella battaglia politica. Immancabile la replica puntuta dell’oramai ex Ministro dell’interno che ha rivendicato orgogliosamente il suo credo. A questo ha fatto da controcanto Matteo Renzi (intervenuto dopo il vicepremier) che, nel dirsi rispettoso del modo di Salvini di vivere la fede, lo ha invitato a leggersi i versetti del capitolo 25 del Vangelo «secondo Matteo» dove si legge ‘ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato’ e a trarne le giuste conseguenze lasciando sbarcare i migranti della Open Arms a Lampedusa.
Al di là del merito della questione, anche questo passaggio ha rivelato come alla base della crisi ci siano visioni politiche, istituzionali, religiose molto diverse. La cosa si è manifestata in tutta la sua plasticità negli interventi del Presidente del Consiglio e del vicepremier in quota leghista.
Prima ancora delle differenze di contenuto ha colpito la differenza dei linguaggi che non tradiscono solo i caratteri molto diversi di Conte e Salvini (aplomb professorale l’uno, tono da dj di villaggio turistico l’altro), ma mostrano una visione della vita e della politica molto lontane. Il tema dei linguaggi costituisce, peraltro oggi, uno dei nodi fondamentali per cogliere le diverse pulsioni che attraversano il Paese e anche la comunità ecclesiale. Il linguaggio non è neutro, plasma la realtà. Per questa ragione bisognerebbe riflettere anche su come il linguaggio politico sia diventato violento (si veda come ultimi esempi gli attacchi vergognosi portati avanti dal quotidiano ‘La Verità’ contro i gesuiti Spadaro e Sorge) e stia permeando molta della società civile.
Ma questa crisi si presenta come ‘pazza’ perché, innanzitutto, anomalo è stato il percorso che ha portato all’esecutivo gialloverde. A tale riguardo è quanto mai vera l’analisi del presidente della Cei cardinale Bassetti quando evidenzia che siamo di fronte a una crisi di sistema e non a una semplice crisi politica. La legge elettorale (sciagurata!) ha cercato di forzare dentro uno schema bipolare un sistema politico (quello italiano) che da qualche anno è invece tripolare. È evidente che l’uscita dalla crisi del governo Conte non potrà non tematizzare anche quale esito dare (e come darlo) a questa crisi sistemica.
Il dibattito in aula (svolto sempre con l’occhio all’elettorato) ha mostrato come per Salvini sia vitale il rapportarsi direttamente con gli elettori, mentre per il premier Conte il tutto debba avvenire avendo piena consapevolezza e rispetto delle regole istituzionali e dei valori costituzionali, regole e valori che – ha accusato il premier – Salvini ha mostrato di non conoscere molto. «La cultura delle regole e il rispetto delle istituzioni sono fondamentali ma non si improvvisano», ha dichiarato.
Conte nel suo intervento non ha risparmiato alcuna critica all’ex alleato, ricordando le diverse carenze di atteggiamento istituzionale e gli ha imputato di sacrificare il bene del Paese per «interessi personali e di partito» . Una settimana prima ha avuto la fiducia sul decreto Sicurezza bis e poi ha deciso di staccare la spina. Tutto questo per Conte è inaccettabile.
La risposta del leader leghista (che ha ricordato come quello di Conte fosse diventato «il governo dei no») è stata doppia. Innanzitutto il rifarsi agli elettori: «Noi siamo dipendenti pubblici al servizio dei cittadini» e ha rivendicato «la grande forza di essere un uomo libero che non ha paura del giudizio degli italiani». E quindi in chiusura nel rilanciare il possibile rapporto Lega-5Stelle, con un’apertura che dopo l’intervento di Conte non aveva, evidentemente, nessuna chance di essere raccolta.
Uno dei punti politici che marcano la distanza tra gli ex alleati e che sicuramente sarà motivo di scontro anche futuro è il rapporto con l’Europa. Per Conte è uno dei riferimenti fondamentali mentre per Salvini è solo fonte di limiti e rappresenta ‘la catena’ che non vuole. In realtà andrebbe detto che molti dei problemi che l’Italia ha avuto anche in questi mesi hanno origini interne e non certo a Bruxelles. Comunque con le istituzioni dell’Unione europea è sempre meglio stare al tavolo a discutere, piuttosto che lasciare il posto vuoto.
Rispetto alle prospettive, per Salvini l’unica via maestra è il voto e non è un problema se questo avviene (sarebbe la prima volta nella storia repubblicana) in autunno alla vigilia di una manovra economica. Secondo Conte, invece, la crisi in pieno agosto è un «gesto di grave imprudenza istituzionale che crea incertezza politica e instabilità finanziaria». Ora la parola passa al Capo dello Stato che, per fortuna, ha mostrato di conoscere molto bene la Costituzione e di avere un alto senso delle istituzioni. Starà a lui capire quale è l’esito migliore (o meno dannoso) per il Paese.