Vasco Rossi: “Free Palestine bello slogan, ma se implica distruzione di Israele mi ribello”

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(Adnkronos) – "Io rifiuto di schierarmi come se fosse una partita di calcio, Israele contro Palestina. Gli ebrei, dopo quello che hanno sofferto, hanno diritto a uno Stato. 'Free Palestine' è un bello slogan, da anime belle; ma se implica la distruzione dello Stato di Israele, allora sarebbe più onesto dirlo. E alla distruzione di Israele io mi ribello". Lo spiega Vasco Rossi in una lunga intervista al 'Corriere della Sera'. "Leggo cose superficiali, in cui non mi riconosco; io sono semplice, non facile – sottolinea Vasco -. Mi hanno dato del sionista, ma io non so neppure cosa voglia dire. So che se mettessi il like a 'Palestina libera' mi amerebbero tutti; ma io non sono fatto così. Se avessi voluto piacere a tutti, non avrei scritto 'C’è chi dice no' o 'Gli spari sopra'. Questo ovviamente non mi impedisce di piangere le vittime civili di Gaza, e di criticare i bombardamenti di Netanyahu, che è pure lui una specie di fascista".  
I rivoluzionari da salotto non gli sono mai piaciuti, spiega il cantante. "Mai. Ricordo quelli di Potere operaio: erano tutti studenti; il pomeriggio giocavano alla rivoluzione, la sera tornavano a cena dalla mamma. A diciassette anni vuoi cambiare il mondo: anche io ci credevo, anche io ci ho provato. Poi ho capito che prima di cambiare il mondo dovevo cambiare me stesso. Anziché distruggere il sistema, dovevo creare il mio sistema. Poi certo i ragazzi che scendono in piazza li rispetto", dice.  Vasco è "il nome del compagno di prigionia di mio padre che gli salvò la vita", racconta ancora. Suo padre era uno dei 600mila internati militari in Germania che rifiutarono di combattere per Hitler: "Gli americani bombardarono il lager, lui cadde in una buca, questo Vasco lo tirò su di peso e papà gli disse: se un giorno avrò un figlio, lo chiamerò come te".  "Mio padre teneva un diario. L’ho riletto da poco – svela Vasco -. Racconta la morte di un prigioniero, ucciso a bastonate da un kapò italiano, di cui papà scrive nome e cognome. Non aveva studiato, non era mica uno scrittore, ma aveva visto i suoi compagni morire di fatica e di botte: cose talmente terribili che voleva testimoniarle. E io le ho assorbite. Non riesco a vedere i film sui deportati e sulla Shoah, non ho visto neppure Schindler’s List. Mi turbano troppo. Per questo ogni anno ricordo il Giorno della Memoria".  "Io sono nato dopo la guerra, la mia generazione si era illusa che le guerre fossero finite. Invece ora bussano alla nostra porta. E si arriva a minacciare una guerra nucleare, come mai si era fatto in passato", dice Vasco, secondo cui "Putin è un dittatore guerrafondaio che va fermato. Sostenendo l’Ucraina, ma anche avviando una trattativa che metta fine ai massacri", spiega.  "Ero a Los Angeles, mia mamma mi ha chiesto un parere sugli agricoltori in rivolta. Anche loro hanno ragione. L’importante è trovare una ragione comune. Mettersi a un tavolo, trattare", racconta ancora Vasco Rossi. "Potevo stare tre giorni senza dormire, grazie alle anfetamine. Poi ho capito che le anfetamine sono pericolose. Ho sperimentato la mia psiche, sono entrato nella mia mente, ho fatto un viaggio dentro la mia coscienza. Le sostanze stupefacenti le ho provate quasi tutte, tranne l’eroina. Mettere l’eroina sullo stesso piano della marijuana è criminale, perché così i ragazzi si convincono che si equivalgano, e se lo spacciatore non ha una, allora si può comprare l’altra…", racconta ancora il rocker. Vasco finì anche in carcere: "Cinque giorni di isolamento. Giorni infiniti, minuti lunghissimi. Non passava mai. Cercavo di dormire, mi svegliavo credendo di aver fatto un brutto sogno; infine realizzavo che era tutto vero. Poi altri 17 giorni di galera. Solo De André venne a trovarmi, con Dori. Pannella mandò un telegramma. Fu l’occasione per resettarmi. Mi sono disintossicato da solo, senza bisogno di andare in comunità. Dopo la galera sono tornato a casa, a Zocca, e non ne sono uscito per otto mesi. Senza anfetamine non riuscivo ad alzarmi dal letto. E in tanti erano contenti".  "Sono stato anche molto odiato – racconta il cantautore -. Dai perbenisti, dai benpensanti. Mi sputavano addosso per strada. Ero il drogato. Il capro espiatorio dei primi Anni 80. Il diretto responsabile della diffusione degli stupefacenti perché, secondo loro, le mie canzoni spingevano all’uso della droga. E per decenni me l’hanno rinfacciato, una cosa che succede solo in Italia: nessuno si permetterebbe di trattare da drogato, che so, Paul McCartney o Keith Richards". "Il politicamente corretto non mi convince. Non conta come definisci una persona, ma cosa ne pensi e come ti comporti", dice ancora Vasco Rossi al 'Corriere della Sera', raccontando della sua canzone 'Colpa d'Alfredo' e di quel verso "è andata a casa con il negro la troia". "In realtà la ragazza che corteggiavo era andata via con Salvino, che non era affatto nero, solo abbronzato. Non mi riferivo al colore della pelle, ma alle dimensioni… Era insomma una canzone da cui i neri uscivano benissimo. Se la riscrivessi oggi mi arresterebbero".  —spettacoliwebinfo@adnkronos.com (Web Info)