Di seguito il comunicato diffuso da Medicina Democratica che annuncia ricorso in Appello al Tribunale di Vicenza per ripartire con Italia veloce, ma nel rispetto delle norme sui materiali di recupero
“Sembra una assurdità: sappiamo con certezza che per lunghi tratti della massicciata della “Autostrada Valdastico SUD” (Vicenza Rovigo), c’è una “bomba ecologica innescata”, a base di rifiuti e scorie che rilasciano sostanze pericolose per la salute umana come cromo e nichel, ma non ci possiamo fare niente, o meglio la giustizia non è in grado di individuare i colpevoli di tanto danno e delle possibili, gravi conseguenze”, ha dichiarato Marco Caldiroli, Presidente nazionale di Medicina Democratica.
“Abbiamo fondato timore- ha aggiunto Caldiroli- che questo genere di “storiaccia”, con i rischi che comporta, possa replicarsi all’infinito nell’imminente riavvio delle grandi opere infrastrutturali, previste dal Piano “Italia veloce”, 130 opere al momento, fra cui numerosi tratti autostradali in varie parti della Penisola: per questo come Medicina Democratica intendiamo proseguire fino in fondo l’azione penale per la vicenda della Autostrada Valdastico SUD e abbiamo presentato appello, nei giorni scorsi, assistiti dal nostro avvocato Edoardo Bortolotto, contro la sentenza assolutoria di primo grado, contraddittoria e inaccettabile ”.
L’ennesima paradossale vicenda di questa nostra Italia delle contraddizioni, è riassunta nella sentenza del Tribunale di Vicenza, la n. 1482 del 17.12.2019, che riconosce la presenza di tali materiali pericolosi, ma manda assolti tutti gli imputati, rappresentanti di alcune imprese di “recupero” rifiuti, utilizzati nella costruzione dei 13 km di massicciata sotto accusa. La colpa c’è, ma non ci sono colpevoli! La spiegazione di tale incongruenza è nelle motivazioni della sentenza depositate il 17.04.2020: la giudice Antonella Toniolo riconosce la presenza nella massicciata di materiali in contrasto con le norme di tutela ambientale, che regolano le caratteristiche dei rifiuti recuperabili in tali opere. Nel contempo, però, esclude le responsabilità penali, in quanto il sistema di registrazione della posa dei rifiuti nelle diverse tratte è stato considerato “non affidabile”: non sarebbe possibile risalire dai punti dei campionamenti, che evidenziano il superamento dei limiti, alla provenienza (fornitura) dei rifiuti. Quindi, l’inquinamento c’è ma non è possibile indicare un colpevole “certo”, anche se le aziende indagate sono quelle che hanno fornito tutti i materiali di recupero in quelle tratte: in sostanza su quella massicciata le imprese ci hanno buttato di tutto e di più, ma in una confusione generale, tenuta dei registri in modo “ballerino”, quantitativi e dislocazioni dei campionamenti inadeguati/insufficienti, non si capisce chi ha buttato “il veleno”, né dove, né come, né quando!
La storia dei “veleni” sui 13 Km della massicciata autostradale Valdastico SUD, era cominciata nel 2012 con il decesso di un cane morto dopo aver bevuto acqua nei pressi di un cantiere sulla A31. Alla prima denuncia dell’archeologo amatoriale Marco Nosarini, che aveva tenuto sotto controllo i lavori e aveva fatto svolgere analisi in proprio, era seguito un esposto al Tribunale di Vicenza, insieme a Medicina Democratica e AIEA, Associazione Italiana Esposti Amianto. Da lì l’avvio di un procedimento giudiziario che ha visto costituirsi come parti civili anche il Ministero dell’Ambiente, Italia Nostra, il Comitato Intercomunale Tutela Territorio Area Berica, Legambiente, Regione Veneto, Provincia di Vicenza e il Comune di Montegandella, in cui ricade parte di quel tratto autostradale.
“Il lavoro, le attività produttive debbono ripartire, su questo non c’è dubbio- ha concluso Marco Caldiroli- ma non possono esserci scorciatoie e strumentalizzazioni di nessun genere: non ci può essere alcuna ripresa senza garanzie prima di tutto per la salute e per l’ambiente! Non intendiamo mollare, ma continuare nella ricerca della verità giudiziaria oltre a quella tecnica già chiaramente emersa durante le diverse fasi del processo. Verità che identifica i responsabili nelle aziende che trattano rifiuti in modo inadeguato rispetto alla finalità del loro, concettualmente positivo, recupero”.
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