«Il Veneto è diventato il distretto della delinquenza: è ora di mettere un freno», commenta Franco Conte, il presidente regionale del Codacons. Ieri il Corriere del Veneto (ne riprendiamo qui l’articolo di oggi, ndr) ha raccontato il sistema di vendita messo in piedi da una società (Casaconvenienza Group) che ha sede in un condominio nella periferia di Treviso, ma che in realtà opera attraverso un cali center attivo in un monolocale a Padova. I telefonisti contattano centinaia di donne (soltanto operaie, casalinghe o pensionate) con la scusa di un sondaggio.«Ma non ce ne frega niente di quello che rispondono», spiegava la responsabile – e prendono un appuntamento per la consegna di una tessera-sconti con l’unico obiettivo, in realtà, di spingerle a firmare un contratto che le impegna all’acquisto di quasi tremila euro di prodotti per la casa. Si tratta di un meccanismo che le associazioni dei consumatori hanno imparato a conoscere alla perfezione.
«Le chiamiamo “le truffa del catalogo” e ci arrivano continuamente nuove segnalazioni – prosegue il presidente del Codacons – perché spesso queste società hanno sede proprio nel nostro territorio». Perché proprio qui? «Il Veneto offre un’immagine rassicurante, onesta. Una società che opera da questa regione, appare più affidabile di una con base, ad esempio, nel Sud Italia. Il risultato è che la gente abbassa le difese, si fida, e poi resta fregata».
Un fenomeno «in crescita esponenziale», assicura Valter Rigobon, segretario regionale di Adiconsum: «Negli ultimi quattro anni, non passa settimana senza che qualcuno si rivolga a noi lamentando di aver firmato un contratto di acquisto dietro la promessa di ricevere un regalo. Casaconvenienza la conosciamo bene, ed è una di queste società».
Tra le prime associazioni a denunciare il bluff dei call center, c’è la Casa del Consumatore della provincia di Vicenza. La delegata, Elena Bertorelli, spiega che «la tecnica è quasi sempre la stessa e si divide in tre fasi. La prima è l’appuntamento preso dalla telefonista con la scusa di consegnare un premio. A casa della vittima si presenta poi un ragazzo dai modi cortesi e rassicuranti, che agisce in fretta, spesso senza neppure entrare, e fa firmare un foglio. Infine, la terza fase, quella decisiva: scaduti i quindici giorni entro i quali è possibile recedere, si presentano i venditori che, in genere con fare molto aggressivo e sventolando una copia del contratto sottoscritto, pretendono che la firmataria scelga il prodotto da acquistare e lo paghi».
Una rete nella quale cadono solo i più sprovveduti? Non proprio. «Le prime due fasi – spiega Bertorelli – avvengono in un clima di leggerezza, come se la sottoscrizione contestuale alla consegna del regalo sia qualcosa di poco conto, una prassi. Per questo la maggioranza delle donne finisce nel tranello: è convinta di non aver firmato nulla di importante».
Le vittime sarebbero centinaia ogni anno. Le associazioni dei consumatori dicono di riuscire, in genere, a ottenere l’annullamento del contratto. «Basta una lettera del nostro avvocato e la società alza subito bandiera bianca», assicurano. Ma per le forze dell’ordine è difficile perseguire i responsabili. «Nella maggioranza dei casi conclude Rigobon – coloro che hanno subito il raggiro si accontentano di ottenere le rescissione del contratto senza dare seguito alla denuncia. Il risultato è che per ogni vittima che se la cava, ce ne sono altre che si rassegnano apagare».