di Federico Nicoletti sul Corriere del Veneto
Un’attività di vigilanza su Veneto Banca «del tutto insufficiente». Che, nel caso di PricewaterhouseCoopers – è la linea legale – non avvia incisive verifiche autonome degli effetti sul patrimonio di «baciate» e perdite sui crediti non classificate correttamente. Nemmeno dopo che la relazione sull’ispezione di Banca d’Italia, nel novembre 2013, le fa emergere. A quel punto «certamente l’organo di revisione non poteva non sapere della compromissione del patrimonio netto aziendale e dei notevoli rischi sulla continuità aziendale».
Risultato: «La responsabilità a carico dell’organo di revisione è evidente». Perché l’aver attestato ogni anno che il bilancio fosse specchio della realtà, venendo meno «ai propri doveri di perizia, professionalità e diligenza», non solo avrebbe «agevolato le condotte illecite degli organi amministrativi di Veneto Banca», ma anche «indotto i clienti a ritenere di trovarsi di fronte a un istituto solido». Mentre «se l’organo avesse correttamente segnalato compromissioni e rischi», i clienti non avrebbero acquistato azioni ed obbligazioni o per lo meno ci sarebbe stato l’effetto «di limitare in modo consistente le perdite subite». Con prezzi più corretti o evitando la decisione di mantenere le azioni.
Sono le conclusioni a cui giunge la relazione tecnica sulle responsabilità dei revisori legali redatta da Bruno Giacomello, professore di metodi quantitativi per la finanza all’università di Verona. In sessanta pagine, la perizia dell’economista fornisce una base tecnica dettagliata per sostenere una serie di cause civili contro Pwc, in quello che è divenuto il fronte legale più avanzato tra i tentativi di recuperare i soldi «bruciati» con le azioni delle ex popolari.
Così, sulla base della perizia, è partito prima l’avvocato padovano Virgilio Calabrese, che ha depositato al Tribunale delle imprese di Milano una causa in cui chiede a Pwc il risarcimento dei 20 milioni di euro per le azioni azzerate di Veneto Banca di un gruppo industriale di Vicenza, a cui l’avvocato farà seguire ora cause cumulative per una serie di soci con esposizioni sopra il milione di euro e sotto i 500 mila. Ora parte lo studio Trabucchi di Padova, con una causa relativa a un socio che aveva acquistato negli anni azioni e obbligazioni convertibili sempre della popolare di Montebelluna.
Ma l’azione contro i revisori va oltre il tentativo di aggredire realtà dove i soldi non mancano. «Il ruolo dei revisori è verificare la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili – spiega Giuseppe Trabucchi, professore di diritto commerciale a Verona e avvocato -. Attività fondamentale di valore pubblico, che riguarda l’articolo 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio: se gli amministratori non si comportano correttamente, sono i revisori l’argine per il mercato; che non è una bisca, ma lo spazio in cui si esercita correttamente l’attività d’impresa. Queste azioni sono anche una spinta verso attività di revisione più rigorose». E aggiunge, il docente: «Le società di revisione sono realtà strutturate, che con indagini condotte anche grazie agli odierni strumenti informatici possono ben far emergere, come ha fatto Giacomello, lo scostamento tra realtà e dati ufficiali».
Questo anche sul fronte dei prezzi delle azioni. Dove, sostiene Giacomello, se Pwc non doveva addentrarsi nella formazione dei piani industriali, però «avrebbe comunque dovuto approfondire la validità dei criteri adottati e la coerenza dei dati usati». La relazione tecnica mostra come anche solo lavorando sui dati a disposizione all’epoca, senza cioé addentrarsi in rielaborazioni sugli effetti di «baciate» e perdite sui crediti, si può concludere «al di sopra di ogni ragionevole dubbio – come scrive Giacomello – che la banca ha sempre sopravalutato il valore delle proprie azioni in modo eccessivo, con tecniche corrette ma con ipotesi di sviluppo e valori quasi del tutto fuori dalla realtà».
Così, applicando vari modelli di valutazione, mentre i prezzi storici passavano dai 37 euro del 2009 al ai 40,75 del 2013, la media che esce dallo studio va dai 10,25 euro del 2009, ai 6,17 del 2013, per scendere ai 4,95 dell’anno dopo e ai 2,77 del 2015. «Valori diversi da questi – conclude Giacomello – non potevano in alcun modo essere ritenuti compatibili con la situazione della banca, né con ipotesi di sviluppo, anche notevoli, ma coerenti» .