La splendida esperienza della (seconda) Repubblica Veneta iniziata con la sua proclamazione a Venezia il 22 marzo 1848, stava per concludersi nell’agosto 1849; un anno e mezzo di indipendenza, un periodo straordinario ricco di entusiasmi, di riforme, di slanci patriottici che continua, dopo oltre un secolo e mezzo, ad essere così poco conosciuto dai veneti.
A Venezia, abbandonata da tutti, si percepiva la fine ormai prossima e il 3 agosto l’esasperazione degli animi provoca un increscioso assalto alla residenza del Patriarca, accusato da un gruppo di cittadini di aver sottoscritto una petizione con la quale si chiedeva al governo di far conoscere i motivi che potevano indurlo alla resistenza ad ogni costo. Il 6 agosto l’Assemblea concentrò su Daniele Manin ogni potere per l’onore e la salvezza di Venezia.
Il 15 agosto l’epidemia di colera tocca l’apice: 402 casi con 270 morti. Il 18 Manin parla per l’ultima volta al popolo in piazza San Marco; le condizioni sono gravi, disse, ma non disperate. Per negoziare occorre calma e dignità; l’unica cosa che non si può chiedergli è la viltà: nemmeno per Venezia può arrivare a tanto. Il 21 in città arriva la notizia che anche gli ungheresi di Lajos Kossuth hanno capitolato: Venezia è l’ultima città d’Europa a resistere agli Asburgo.
Il 22 una delegazione si reca nella terraferma mestrina, a Marocco, per trattare la resa di Venezia. Il 24 agosto il Governo provvisorio, con la dichiarazione di Manin, chiude la propria esperienza; il governo della città viene assunto dal podestà Correr e da 14 membri. Daniele Manin guida la lista dei 40 esiliati. E la poesia dello scledense Arnaldo Fusinato descrive in maniera straordinariamente commovente e incisiva le giornate conclusive di quello che è, almeno per il momento, l’ultimo periodo di indipendenza del nostro popolo.
Ode a Venezia
E’ fosco l’aere, il cielo è muto,ed io sul tacito veron seduto,in solitaria malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia! Fra i rotti nugoli dell’occidente
il raggio perdesi del sol morente,
e mesto sibila per l’aria bruna
l’ultimo gemito della laguna.
Passa una gondola della città.”Ehi, dalla gondola, qual novità ?””Il morbo infuria, il pan ci manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!”
No, no, non splendere su tanti guai,
sole d’Italia, non splender mai;
e sulla veneta spenta fortuna
si eterni il gemito della laguna.
Venezia! l’ultima ora è venuta;
illustre martire, tu sei perduta…
Il morbo infuria, il pan ti manca,
sul ponte sventola bandiera bianca!
Ma non le ignivome palle roventi,
ne’ i mille fulmini su te stridenti,
troncan ai liberi tuoi di’ lo stame…
Viva Venezia!
Muore di fame!
Sulle tue pagine scolpisci, o Storia,
l’altrui nequizie e la sua gloria,
e grida ai posteri tre volte infame
chi vuol Venezia morta di fame!
Viva Venezia!
L’ira nemica la sua risuscita
virtude antica;
ma il morbo infuria, ma il pan le manca…
Sul ponte sventola bandiera bianca!
Ed ora infrangasi qui sulla pietra,
finché è ancor libera,
questa mia cetra.
A te, Venezia,
l’ultimo canto,
l’ultimo bacio,
l’ultimo pianto!
Ramingo ed esule in suol straniero,
vivrai, Venezia, nel mio pensiero;
vivrai nel tempio qui del mio core,
come l’immagine del primo amore.
Ma il vento sibila,
ma l’onda è scura,
ma tutta in tenebre
è la natura:
le corde stridono,
la voce manca…
Sul ponte sventola
bandiera bianca!