Mantenere la rotta non è semplice, perché difficile è conservare equilibrio emotivo e lucidità di prospettiva. Definire il proprio ruolo nel tessuto sociale e non perdere di vista il senso del proprio impegno e il valore del sacrificio costante, è indispensabile. Fare passi troppo lunghi o non puntare sulle proprie reali capacità compromette il buon esito di ogni progettualità condivisa.
Accade spesso che la cura del proprio orticello distragga da obiettivi più grandi, di benessere condiviso.
È emerso con evidenza nel corso dell’ultima campagna elettorale, non davvero calibrata sulle questioni a priorità di attenzione e concentrata, invece, su temi culturalmente distanti dai cittadini comuni: Europeismo, Atlantismo.
Si ricorda bene il periodo buio vissuto dall’intera Europa tra il 2008 e il 2013. Un indebitamento bancario senza precedenti, con notevole esposizione delle banche tedesche e francesi per l’acquisizione di titolo non solo greci ma anche di altri Paesi europei non più forti e con altissimo debito pubblico (tra gli altri, Belgio, Spagna, Italia, Danimarca). In una situazione di affanno generale, la Germania riuscì a trarre vantaggio dalla difficoltà altrui, grazie a una forma indiretta di garanzia comune e a evitare una delle più grandi crisi del proprio sistema bancario. Lo stesso a dirsi per le banche francesi, che vendettero tutti i titoli dei Paesi indebitati alla BCE.
L’Italia, invece, non ne uscì altrettanto bene; il debito crebbe ulteriormente, il Pil raggiunse minimi allarmanti, con inversione di rotta di 5,5 punti percentuali, con lacerazione dei settori siderurgico, impiantistico, dell’arredamento e dell’utensileria, ottico, della meccanica leggera, della filiera tessile, calzaturiero, delle telecomunicazioni, delle costruzioni. Ogni anno si perdevano 380.000 unità lavorative, con calo dell’occupazione dell’1,6%. L’unico comparto a resistere e sul quale il Paese poteva e doveva puntare era quello agroalimentare.
Oggi si torna a parlare di europeismo, di atlantismo. Slogan. Lanciati per mera suggestione. Termini che nulla dicono rispetto al ruolo che sarebbe necessario tornare a meritare anche nel contesto delle relazioni internazionali.
L’Italia continua a mostrare tutte le sue fragilità. Perde facilmente di vista l’essenziale per inseguire il futile, l’effimero.
Per comprenderlo non serve andare troppo lontano. Basta soffermarsi su quanto sia facile per ciascuno di noi lasciarsi tentare dal desiderio di visibilità e di affermazione del proprio io. L’interesse individuale distrae dal valore e dalle utilità dell’altruismo.
Per questo è tanto importante creare un’onda nuova di pensiero. Abituare alla verità, perché solo dal coraggio della verità partono le scelte realmente consapevoli, e perché solo così gli slogan potranno essere vinti dalle idee.
I proclami pilotano le decisioni della massa. Le idee aiutano a conquistare autonomia di pensiero.
C’è molto da fare per costruire su solide fondamenta una società realmente equa, che sappia valorizzare la funzione sociale e realizzatrice del lavoro, senza timore del sacrificio e senza alibi all’indolenza.
Si parta da un concetto nuovo di leadership. Si parta da un nuovo fare politico, non assorbito dall’esigenza di intercettare il consenso, ma disposto a raccontare quelle verità che, pur impopolari, restano opzione necessaria.
I cittadini, da lato loro, tornino all’entusiasmo partecipativo, non ridotto al solo voto elettorale, pure importantissimo momento di espressione democratica, ma rivolto a indirizzare decisioni che riguardano loro e nessun altro.