Chi non conosce il gioco dell’oca, il famoso gioco da tavolo con pedine, dadi e un tabellone da percorrere per tagliare il traguardo prima degli avversari (sperando nella buona sorte di capitare su caselle con bonus e di evitare quelle con malus e penitenze)? La via Francigena ci conduce a Mortara, cittadina della Lomellina, dove lo storico gioco prende vita. Scopriamo questa simpatica tradizione e uno dei suoi monumenti religiosi più significativi.
Il Palio “dell’oca” di Mortara
Due volte all’anno, in occasione della sagra dedicata al tipicissimo salame d’oca, il centro di Mortara si anima con una competizione serrata tra le sette contrade dell’antica città. Il terreno su cui si misurano è, appunto, il gioco dell’oca. No, non si tratta di un torneo in cui i campioni delle contrade si sfidano seduti a un tavolino, a colpi di dadi. A Mortara il gioco prende vita: le pedine sono figuranti, e a determinare l’avanzamento delle “pedine” non è la sorte, ma l’abilità degli arcieri delle sette squadre. Questi ultimi si sfidano a colpi di frecce, con l’obiettivo di centrare l’anello più piccolo e ottenere quanti più punti possibile per tagliare per primi il traguardo.
I costumi indossati dai quasi 400 figuranti sono riproduzioni degli abiti indossati dagli abitanti di Mortara nel XV secolo, sotto Ludovico il Moro e Beatrice d’Este.
Sant’Albino
La storia di Sant’Albino inizia molto tempo fa, quando, a metà del IV secolo, il vescovo Gaudenzio dota Mortara di due piccole chiese, intitolate rispettivamente a San Pietro e a Sant’Eusebio. Entrambe erano tappa dei primi pellegrini che percorrevano una primitiva via Francigena. Si arriva quindi al 773, quando a Mortara ebbe luogo la battaglia tra Carlo Magno e i Longobardi.
La leggenda vuole che due paladini del re caduti in battaglia, il coppiere Amelio d’Alvernia e il tesoriere Amico Beyre, avessero ricevuto sepoltura proprio qui, l’uno in una chiesa, l’altro nell’altra. Inspiegabilmente, però, il giorno dopo furono entrambi ritrovati nella stessa chiesa, quella di Sant’Eusebio, uniti sia nella vita che nella morte da un’eterna amicizia.
In seguito a questi eventi, il monaco inglese Albin Alkwin fece costruire un monastero annesso alla chiesa di Sant’Eusebio. Più tardi, per volere dei suoi allievi, il complesso monastica assunse in suo onore il nome di un altro Albino, il santo di Angers.