Vercelli, parte seconda: la storia e la tradizione contadina – La Via Francigena destinazione Roma, la 9ª tappa dal Nord

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(foto FB: Alberto Zella)

Vercelli non ha intenzione di smettere di sorprenderci. Nella prima parte abbiamo ammirato la bellezza dei centri di culto cristiani, con i loro stili differenti non solo l’uno dall’altro. Andiamo a scoprire altre perle di questa splendida cittadina.

La sinagoga di Vercelli

La comunità ebraica vercellese gode di una importanza che si riflette nella grandezza della sua sinagoga, che si estende per ben 1000 metri quadrati. Lo stile è quello moresco, e all’interno si divide in tre navate, due delle quali ospitano al piano superiore il matroneo, la parte del tempo in cui, secondo la tradizione ebraica, pregano le donne. Fu edificata tra il 1874 e il 1878 nel centro di quello che fino a pochi decenni prima era stato il ghetto cittadino.

Piazza Cavour

Non solo edifici di culto: Vercelli è una splendida città da visitare a piedi, ammirandone le strade e le piazze del centro storico. La principale è Piazza Cavour, conosciuta semplicemente come Piazza Maggiore prima di essere intitolata allo statista. Un luogo di ritrovo di vercellesi di tutte le età, il cuore pulsante del suo centro storico. Piazza Cavour è notevole non solo per il suo ruolo nella vita dei suoi abitanti, ma anche per la sua storia e la sua conformazione.

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Piazza Cavour negli anni ’70 (foto FB: Vecchia Vercelli)

La piazza, ricoperta di ciottoli, è chiusa ai quattro lati del suo perimetro trapezoidale da palazzi storici.  I portici che corrono sotto gli edifici che affacciano sulla piazza hanno ciascuno un nome diverso: a nord il portico dell’Angelo, così chiamato per l’omonima torre che svetta sulla piazza; a sud il portico di San Tommaso, traccia dell’antica chiesa parrocchiale; a ovest e a est il portico della Stella e il portico dei Brentatori nomi anche in questo caso presi dalle attività storiche di Vercelli, rispettivamente un albergo e delle botteghe artigiane. Un tocco nostalgico è dato dalle trottatoie che tagliano trasversalmente lo spazio, che in passato servivano al passaggio dei carri, che sui ciottoli si sarebbero mossi con difficoltà.

risaie vercelli
Foto aerea delle risai del vercellese (foto FB: Vou para Italia)

Vercelli e le risaie

Se anche il nostro intento era presentare Vercelli in quanto città d’arte, non ci si può comunque esimere dal parlare delle sue risaie. Dall’alto l’immagine delle campagne vercellesi è suggestiva: ettari ed ettari di specchi d’acqua, dalla forma squadrata e perfettamente armonica. Dietro a questo particolare paesaggio, però, si nasconde molto di più: il riso, infatti, è parte dell’identità storica della città, che ancora oggi si presenta come la più grande produttrice di riso del continente europeo.

Alle risaie è legata la figura delle “mondine“, lavoratrici stagionali che si occupavano di strappare le erbacce infestanti dagli acquitrini in cui cresce il cereale nel periodo primaverile, quando i campi vengono allagati.

Se otto ore vi sembran poche

provate voi a lavorare

e sentirete la differenza

di lavorar e di comandar

Canto popolare, 1906

riso amaro
(foto Fb: Torino Piemonte Antiche Immagini)

Le condizioni di lavoro al limite del disumano, insieme con i danni alla salute causati da zanzare e sanguisughe, sollevarono non poche proteste. Nei primi del Novecento, molti comuni del vercellese accolsero alcune delle richieste delle lavoratrici, tra cui la giornata lavorativa di otto ore. Il lavoro di mondatura delle risaie rimase attivo fino agli anni ’60 del secolo scorso, poi sostituito dalla chimica dei diserbanti. La fatica e il lavoro di queste donne sono però rimasti nella storia: formano ancora parte della cultura popolare i canti che le mondine intonavano, dai più leggeri ai più battaglieri, come quello citato sopra, in occasione delle proteste. Le mondine hanno ispirato anche i maestri del cinema, tra cui Giuseppe De Santis, regista del cult neorealista del 1949 Riso Amaro. A lato Silvana Mangano in una scena del film.