Lasciata Brindisi, ci avviamo verso il nord della Puglia, per raggiungere Torre Guaceto. Dopo le bellezze storico-culturali e architettoniche è ora di aggiungere un sapore più naturalistico al nostro cammino sulla Via Francigena del Sud. Torre Guaceto, infatti, ospita una riserva naturale statale che si estende per 3300 ettari, proteggendo ben 8 km della splendida costa pugliese.
Il luogo deve il suo nome alla piccola torre che si staglia solitaria sul promontorio. Si tratta di una fortificazione cinquecentesca, con funzioni di avvistamento. “Guaceto” sarebbe una storpiatura dell’arabo al-gawsit, che significa “acqua dolce”: la zona è infatti ricca di acque non salmastre. Il nome compare per la prima volta nel Libro di Re Ruggero del 1154, opera dell’esploratore al-Idrisi.
La riserva
La riserva naturale, che si divide in riserva marina e riserva terrestre, si articola in una moltitudine di diversi ecosistemi, tutti estremamente ricchi di biodiversità, sia vegetale che animale. Tra le centinaia di specie animali che è possibile avvistare nella riserva, meritano una speciale menzione il fenicottero rosa, lo splendido uccello che qui fa tappa in autunno prima di dirigersi verso le calde coste africane, e l’airone rosso, anche lui “ospite” della riserva nei periodi di migrazione.
Torre Guaceto è dotata anche di un centro di recupero per tartarughe marine, dove decine di scienziati lavorano per la salvaguardia di tutte le specie sottomarine, dalle distese di posidonia, passando per il sarago e tutti gli altri pesci che sono tutelati da regole molto stringenti sulla pesca.
La necropoli di Torre Guaceto
Tre anni fa, nel 2019, una mareggiata ha portato via con sé lo strato sabbioso di superficie che ricopriva un vero e proprio tesoro archeologico, nei pressi della caletta nota come “spiaggia delle conchiglie”. A venire alla luce, riscoperti dal mare dopo più di tremila anni, i resti di un’antichissima necropoli. Gli scavi sono iniziati l’anno successivo, e ancora oggi il numero delle tombe scoperte dagli archeologi non è definitivo.
Le sepolture rinvenute sono tipo cosiddetto “a cremazione“, e risalgono, secondo gli archeologi, all’Età del Bronzo. La collaborazione tra l’Università del Salento e l’Università di Bologna mira a valorizzare questo importante tesoro, che assieme alla natura che ancora resiste, fa di questa riserva un luogo fuori dallo spazio e dal tempo.