Il Brescia si prende al Menti la rivincita della sconfitta subita in casa il 4 gennaio di quest’anno ad opera di un Vicenza che giocò, nell’occasione, la partita perfetta rilanciandosi dopo le difficoltà del Covid e degli infortuni. Ma se lo 0-3 che i biancorossi portarono a casa da quella trasferta fu tutto e solo merito loro, non altrettanto può sostenere Pippo Inzaghi, allenatore delle Rondinelle: i tre punti che la capolista conquista a Vicenza sono in buona parte da attribuire alla complicità dei biancorossi che hanno fatto davvero tutto il possibile per perdere.
È giusto prima di tutto riconoscere alla squadra di Brocchi di essersi battuta dall’inizio alla fine con un agonismo e una continuità che mai si erano viste in precedenza. Questo aveva chiesto l’allenatore e questo hanno dato i suoi giocatori. Ma non è bastato. È mancata al Lane l’altra dote che già latitava nelle prime dodici partite di campionato: la qualità.
Se i difensori fanno i soliti errori individuali che aprono la via del gol agli avversari, se gli attaccanti sbagliano colpendo pali e traverse o facendosi parare i rigori, se i centrocampisti come sempre non sono sincronizzati con il resto della squadra, allora è scontato che corsa e grinta non bastano per vincere un match contro un avversario di rango e ottenere la prima vittoria in casa del campionato.
A molti questa sconfitta è sembrata una beffa e tirano in ballo la sfortuna e l’arbitro per giustificare lo stop numero undici. Sono le solite scuse che non fanno bene al calcio. Bisogna analizzare le cose con obiettività, invece, altrimenti si finisce nel buonismo e nel vittimismo.
Cominciamo da pali e traverse. Quattro, mica pochi. È corretto attribuirli alla malasorte? La risposta è no, ovviamente. Si tratta, piuttosto, di tiri sbagliati. La sfiga si può accusare solo se il pallone colpisce un legno dopo una deviazione, magari casuale, di un tiro ineccepibile ma non quando il tiratore ha a sua disposizione uno specchio di sette metri e mezzo per due e mezzo. Anche se c’è il portiere, sono quindici i metri quadri in cui insaccare una sfera del diametro di ventidue centimetri. Colpire il palo o la traversa, magari a botta sicura e da distanza ravvicinata, è solo un errore. Non è mica il caso a indirizzare il tiro. Chiedetelo a chiunque abbia giocato a calcio.
E un rigore parato? Anche quella è sfortuna? È necessario distinguere. Premesso che tirare dal dischetto non è così facile, come si è ben visto negli ultimi Europei, però c’è chi sa battere i rigori con una percentuale altissima di riuscita e chi meno. Nel primo caso si parla di qualità del giocatore, non per niente in ogni squadra ci sono i cosiddetti rigoristi. Che, comunque, sbagliano anche loro, alla faccia della propria abilità specifica. Un rigore parato è un rigore sbagliato, perché tirato o indirizzato male. Si tratta di un errore individuale. La percentuale di quelli messi a segno, infatti, è nettamente superiore rispetto a quella dei penalty parati o fuori porta.
Finiamo con gli arbitri. Con il VAR hanno meno possibilità di sbagliare, anzi quasi nessuna. Se uno non concede un rigore e il VAR non lo corregge, c’è poco da fare ormai: non era un fallo da rigore. Si possono tirare in ballo la farraginosità delle regole e la difficoltà di interpretazione univoca, che talvolta provocano incomprensioni e sospetti. Ma l’avvento del doppio controllo sulla azione, prima quello umano e poi quello tecnologico, riducono al massimo il rischio dell’errore. E, aggiungiamo, se un arbitro volesse davvero danneggiare una squadra, non lo farebbe certo in un modo così sfacciato com’è quello di negare un rigore. Lo farebbe, piuttosto, in maniera più subdola, ad esempio fischiando sempre conto o adoperando le ammonizioni.
Restiamo dunque con i piedi per terra e vediamo la situazione del Vicenza per quello che è. E cioè quella di una squadra con grossi problemi tecnici e tattici, caratteriali e qualitativi, che, in un terzo di campionato, ha totalizzato appena quattro punti ed è la seconda peggiore del girone per gol fatti e subiti. Per i biancorossi del Vicenza si prospetta una impresa immane: centrare l’obbiettivo salvezza in un margine di calendario che si sta facendo sempre più ridotto. Può farlo il Vicenza con le forze a disposizione? Sicuramente no. Servono rinforzi, giocatori di qualità per innervare ogni reparto, uomini pronti a scendere in campo già alla ripresa di metà gennaio, motivati e responsabili. E consapevoli di aver accettato una sfida professionale mica da poco trasferendosi in una squadra più vicina alla retrocessione che al mantenimento della categoria e in una società che ha il quint’ultimo monte-ingaggi della Serie B.
Non basta ritrovare entusiasmo e scacciare le paure, come predica ottimisticamente il neo direttore sportivo Federico Balzaretti. Lo si è visto proprio nella partita con il Brescia, che ha fatto vedere di buono solo un impegno diverso e una combattività nuova ma che ha riproposto errori individuali e mancanza di qualità ben noti. Sono deficit che l’agonismo qualche volta riesce a eliminare ma che fanno parte del DNA di questa squadra.