Vicenza, cold case Fioretto-Begnozzi: dopo 33 anni incastrato dal Dna uno dei 2 killer, Umberto Pietrolungo del clan Muto.

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cold case Fioretto-Begnozzi
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(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 9sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Il procuratore capo Bruno: «Ma al momento null’altro risulta». Un Amministratore locale commenta: «All’epoca andai in Procura e parlai col magistrato di rivelazioni ricevute, poi ricevetti una strana telefonata… Tutto da lì tacque».

25 febbraio 1991-11 giugno 2024. 33 anni dopo, è stato incastrato dal Dna uno dei killer del cold case Fioretto- Begnozzi che scosse Vicenza e il Veneto. Si tratta di Umberto Pietrolungo, originario di Cetraro, in provincia di Cosenza. A incastrarlo un esame del Dna.
Il duplice omicidio, del quale VicenzaPiù Viva si era già occupata nel n. 8 di fine maggio, quasi da preveggente degli sviluppi in arrivo, proprio nella rubrica sui cold case, trova nuova luce grazie al progresso della genetica forense. Questo aspetto è stato esaltato nel corso della conferenza stampa tenutasi la mattina dell’11 giugno scorso in questura alla presenza, tra gli altri, del procuratore capo Lino Giorgio Bruno e del questore di Vicenza Dario Sallustio (nel QR un breve video illustrativo presentato durante la conferenza stampa).

cold case Fioretto-Begnozzi
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Chi è Umberto Pietrolungo

Ma partiamo dal seguire le orme del presunto killer. Un uomo che, sin da giovanissimo, si è lasciato alle spalle una scia di criminalità, dettata anche dalla sua prossimità al clan Muto di Cetraro, egemone da decenni in una consistente porzione della provincia di Cosenza, quella del versante tirrenico, con ramificazioni in Basilicata e nella provincia di Salerno.
Un’egemonia nata storicamente sul controllo del settore ittico, tanto che il boss, Francesco Muto, conosciuto come “Franco”, è soprannominato “Il Re del Pesce”. Gli interessi della cosca si sono espansi, poi, ad altri settori economici, mentre il passare del tempo, le malattie e gli anni di carcere hanno fiaccato e probabilmente messo fuori gioco il vecchio capo. Ma questa è un’altra storia. Umberto Pietrolungo è nipote di Lido Scornaienchi, detto “Cunfietto” (Confetto, ndr), braccio destro di Franco Muto. Coinvolto in Calabria in importanti operazioni dell’Antimafia per associazione a delinquere nella commissione di  reati che vanno dal traffico di droga all’estorsione e all’usura fino alla turbata libertà degli incanti, aggravati dalle modalità mafiose, nel 2022 è finito in carcere. In quello di Cosenza per la precisone, dove è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Vicenza su richiesta del procuratore ed eseguita dalla squadra mobile della Questura.
Curioso il modo in cui era finito dietro le sbarre in quell’estate. Nell’afa di agosto che si sconfigge solo in parte e soltanto bagnandosi nelle acque blu del Tirreno cosentino, i carabinieri del Norm di Scalea lo beccarono in uno stabilimento balneare di Santa Maria del Cedro.
Era irreperibile da circa un anno, dopo che sulla sua testa pendeva un ordine di carcerazione per scontare una pena di 5 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di tentata estorsione in concorso aggravato dal metodo e dalle finalità mafiose.
In mezzo, tra gli esordi cetraresi e il ritorno in Calabria, fino al soggiorno nel carcere di Cosenza, c’è un lungo periodo trascorso al Nord. Gli inquirenti, infatti, rendono noto che dal 1982 al 2010 ha avuto la residenza anagrafica in provincia di Genova, a Cogoleto. E di lui gli archivi delle forze dell’ordine hanno traccia per la commissione di reati e per gli incontri con i compaesani di Cetraro operativi al Settentrione.
Di certo, era al Nord nel periodo in cui a Vicenza, in Contra’ Torretti, si consumava un efferato delitto, che spense le vite di uno stimato e ben in vista professionista vicentino e della sua consorte.

25 febbraio 1991: Vicenza inorridita per il duplice omicidio Fioretto-Begnozzi

Era una sera di febbraio del 1991, quando vennero uccisi a Vicenza l’avvocato vicentino Pierangelo Fioretto, 59 anni all’epoca, e la moglie 52enne Mafalda Begnozzi. Lui in particolare, grazie al suo lavoro, era un professionista molto noto in città. Aveva infatti seguito importanti vicende in materia societaria e fallimentare ed era consulente di importanti aziende che operavano nel territorio vicentino.
I due furono barbaramente freddati nel giardino della loro casa nel centro storico da diversi colpi di pistola, esplosi alle loro spalle. Due di essi al capo, come colpo di grazia. Le indagini si rivolsero da subito verso la pista del movente professionale, poiché l’avvocato era perito del tribunale specializzato in fallimenti.
Gli accertamenti svolti nell’immediatezza del duplice omicidio cristallizzarono alcuni elementi sui quali gli inquirenti si sono ritrovati a lavorare anche negli ultimi mesi e, a distanza di oltre 6 lustri, si sono rivelati determinanti.
I vicini, innanzitutto, fornirono accurate descrizioni di una Alfa Romeo 75 e di alcuni uomini, notati aggirarsi nei pressi dell’abitazione a chiedere informazioni sulle abitudini di Fioretto. Informazioni chieste anche sul luogo di lavoro dell’avvocato. Furono inoltre ritrovate due pistole, entrambe dotate di silenziatore, modificate dal loro essere inizialmente armi giocattolo, e ritenute le armi del delitto.
Di particolare importanza, inoltre, il ritrovamento di un guanto in pelle nelle vicinanze dell’abitazione. Nonostante gli indizi il caso fu archiviato per mancanza di riscontri, ma poi riaperto nel 2012 per svolgere, con le nuove tecnologie, esami del Dna sul guanto allo scopo di collegarlo all’identità di un possibile killer. L’esame, tuttavia, diede esito negativo e il caso finì di nuovo negli archivi dei cold case, i casi irrisolti.
Oggi, gli investigatori ci dicono che la riapertura del fascicolo è stata possibile grazie a un elemento.

omicidio Fioretto
omicidio Fioretto

Cold case Fioretto-Begnozzi a Vicenza: Umberto Pietrolungo incastrato dal Dna

«I risultati investigativi ottenuti dopo così tanto tempo non potevano che avvalersi in misura importante del progresso della disciplina della genetica forense. Hanno avuto un ruolo importante una serie di accertamenti scientifici, anzitutto sui profili del Dna, ma anche sulle impronte digitali che sono stati segnalati dalla polizia scientifica della Polizia di Stato».
Lo ha detto il procuratore Bruno nel corso della conferenza stampa dell’11 giugno 2024, evidenziando così un aspetto fondamentale: all’epoca dei fatti, e negli anni successivi, non era tecnicamente possibile conseguire questi risultati.
«Ma – ha aggiunto – a questi contributi della scienza si è associata un’indagine classica, partita da una rivisitazione delle attività svolte nell’immediatezza del fatto da parte del personale della questura di Vicenza e che sono state rilette e verificate alla luce delle nuove acquisizioni».
Ecco, quindi, come si è arrivati a incolpare Pietrolungo dell’omicidio Fioretto-Begnozzi attingendo alle banche dati ora utilizzate. Il 24 febbraio 2023 la polizia scientifica ha segnalato un accertamento di concordanza positiva al primo livello tra i profili del Dna rilevati sul “famoso” guanto in pelle e il profilo del criminale cetrarese, ottenuto sia a seguito di accertamenti del Ris di Messina nel 2022 sul bulbo di un capello trovato dai carabinieri di Scalea in un hotel di Diamante dove si era verificato il ferimento di un uomo, che tramite un tampone orale raccolto su Pietrolungo nell’ambito di un procedimento penale della Procura di Castrovillari.

omicidio Fioretto-Begnozzi
omicidio Fioretto-Begnozzi

La Scientifica ha, inoltre, rilevato compatibilità tra le tracce papillari trovate all’epoca dei fatti di Vicenza sul silenziatore della pistola con la quale era stato freddato Fioretto con le impronte digitali prelevate a Pietrolungo qualche mese dopo, quando la polizia lo aveva fermato a Genova per via di un sequestro di persona a scopo di rapina a mano armata avvenuto a ottobre del 1991 ai danni di un gioielliere.
Inoltre, anche a distanza di tanto tempo è stato possibile rintracciare nella figura del calabrese quei tratti somatici descritti dai testimoni che avevano visto i presunti killer e corroborati dai cartellini fotosegnaletici di Pietrolungo, risalenti sia al 1991 che al 2022. A completare il quadro delle indagini, la presenza stabile di Umberto Pietrolungo negli anni ’90 nel nord Italia, in Liguria e Lombardia, e i rapporti intrattenuti anche con esponenti del sodalizio mafioso cetrarese. Oltre alla residenza prolungata in Liguria, nello stesso anno del duplice omicidio di Vicenza Umberto Pietrolungo era stato controllato a Milano, insieme a due esponenti del clan Muto, uno dei quali suo parente, e denunciato per porto ingiustificato di spray narcotizzante e, soprattutto, di proiettili calibro 7,65, lo stesso tipo di quelli rinvenuti a Vicenza in quel tragico 25 febbraio.

Gli inquirenti: abbiamo individuato solo uno dei responsabili

Le indagini, necessariamente, vanno avanti: perché è un dato acquisito che quella notte furono in due a partecipare all’omicidio a bruciapelo dei coniugi vicentini e anche per accertare se le figure di esecutori e mandanti coincidano. Ma su questo, il procuratore capo di Vicenza è stato molto chiaro.
«Noi riteniamo Pietrolungo l’autore materiale del duplice omicidio – ha detto Lino Giorgio Bruno –, ma come in ogni caso omicidiario bisogna distinguere tra autore materiale e mandanti, laddove le due qualifiche non coincidano nella stessa persona. Noi riteniamo di avere individuato uno degli autori materiali. In particolare – ha precisato –, l’autore dei colpi esplosi proprio contro la persona del Fioretto e di sua moglie».
Interrogato in merito dal direttore Giovanni Coviello, presente anche per la nostra testata online ViPiu.it, Bruno ha approfondito: «Come inquirenti ci sentiamo di escludere che si tratti di un soggetto portatore di un interesse personale proprio, di una causale propria rispetto all’omicidio. C’è un secondo esecutore materiale e l’impegno è identificarlo. L’ipotesi investigativa è che i due non fossero portatori di questo interesse e quindi si stagliano sulla scena interessi diversi, ulteriori, per i quali tuttavia, salvo che non ci siano contributi attuali, dobbiamo fare riferimento a quelle che erano le acquisizioni di indagine all’epoca e con elevata probabilità agli interessi professionali di Fioretto, soprattutto quelli di maggiore rilievo».
Infine, sempre rispondendo ai cronisti presenti, il procuratore capo di Vicenza ha chiarito di non poter dire nulla, per ovvii motivi, su eventuali altri indagati allo stato attuale e ha precisato: «Attenzione, non commettiamo l’errore di ritenere che il clan Muto fosse il mandante. Io non l’ho detto e non è scritto da nessuna parte. Al momento non abbiamo elementi per affermare che il clan Muto possa costituire direttamente o indirettamente un riferimento di causale». Significativo, però anche se in generale, un commento di un Amministrator locale alla notizia da noi pubblicata: «Mi interessai a questo caso anni fa, una persona mi fece alcune rilevazioni personali che disegnavano un mondo di intrecci che portavano a lavare danaro attraverso fallimenti pilotati. Andai in Procura e parlai col magistrato, poi ricevetti una strana telefonata…
Tutto da lì tacque. Le ‘infiltrazioni’ sono storiche in questo ricco territorio, da sempre usato come “lavatrice. Credo non sia cambiato molto».
In conferenza stampa erano presenti e hanno fornito il loro specifico contributo informativo il sostituto procuratore di Vicenza, Hans Roderich Blattner, il dirigente della
squadra Mobile della Polizia di Vicenza, Lorenzo Ortensi, Pamela Franconieri del Servizio Centrale Operativo e componente dell’Unità delitti insoluti (Udi), e Daniela Scimmi della Polizia scientifica.