
Il rapporto tra Vicenza e la comunità, militare e civile, statunitense è un tema che ha suscitato nel tempo diverse opinioni tra i cittadini e i politici locali di riferimento. Ancora oggi Francesco Rucco, già sindaco di Vicenza e dirigente di Fratelli d’Italia, ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione, evidenziando come essa abbia portato sviluppo, sicurezza e lavoro alla città e all’area.

Rucco ha espresso preoccupazione riguardo alle notizie su un possibile ridimensionamento del contingente statunitense in Europa e alle dinamiche immobiliari che stanno interessando diversi comuni dell’area vicentina e in particolare di Vicenza dove ci sono circa 12.000 cittadini Usa, di cui circa la metà militari nelle due basi, Ederle e Del Din, e il resto loro familiari alloggiati all’interno della basi, in abitazioni civili prese in affitto e pronte ad occupare le nuove residenze del villaggio in costruzione.

l candidato al Consiglio regionale del Veneto ha, quindi, proposto l’apertura di un tavolo di confronto tra le istituzioni locali e le autorità americane per affrontare le criticità e garantire stabilità al territorio e ai suoi cittadini richiamando, anche, il contesto internazionale: «L’Italia – dice Francesco Rucco – può contare su un rapporto di stima e fiducia tra la Presidente Giorgia Meloni e il Presidente Donald Trump. Un legame che può essere un ponte utile per rafforzare la collaborazione tra i nostri territori e le autorità americane, nel rispetto reciproco. Vicenza è una comunità seria e laboriosa: ora servono certezze e tutele, con scelte responsabili e visione per il futuro».

La presenza militare statunitense a Vicenza, iniziata nel 1955 con l’installazione presso la caserma Ederle, ha indubbiamente avuto un impatto significativo sull’economia locale. Secondo stime recenti, l’indotto legato a questa presenza ammonta a circa 200 milioni di euro all’anno, coinvolgendo migliaia di famiglie e imprese locali. Tuttavia, le notizie riguardanti possibili tagli al contingente militare americano in Europa e le decisioni della Casa Bianca in merito al disimpegno militare sollevano preoccupazioni sulle ricadute per il territorio vicentino economiche e, secondo noi non solo (leggici qui «Base USA Del Din verso la chiusura? Scenari e conseguenze per Vicenza: Comune, Stato e istituzioni studino ora un piano per il possibile “dopo”»).

Ma non tutti condividono, per lo meno nelle premesse, la visione di Rucco avendola contestata “ab origine” in occasione del raddoppiamento della base. Il movimento “No Dal Molin”, attivo dal 2006, infatti si oppose fermamente alla realizzazione della nuova base dell’esercito statunitense nell’ex aeroporto Dal Molin di Vicenza, che ora vede l’area suddivisa tra la parte militarizzata della caserma Del Din e l’area del Parco della Pace, una cosiddetta “compensazione” per la città che si scopre sempre più difficile da gestire a favore della comunità locale per la sua enorme estensione, circa 650.000 mq per giunta con il fondo compromesso dal drenaggio “saltato” per la costruzione della base, non certo attenta all’ambiente, e più volte bonificato dalle numerose bombe inesplose della Seconda guerra mondiale, della cui totale assenza è difficile ancora oggi essere certi.
Un abbandono della Del Din o anche un suo ridimensionamento, per la volontà degli Usa di Trump, sia pur amico della sua “leader” Meloni, come ribadisce Rucco, risulterebbe, quindi, una beffa da aggiungere al danno ambientale in atto e a quello economico, possibile, per la gestione di quei 650.000 mq, e farebbe tristemente rivalutare chi a Vicenza non voleva il raddoppio dell’insediamento Usa: giudicato dalle Istituzioni nazionali dell’epoca indispensabile viene oggi contestato, nella sua impostazione strategica, dalla nuova Amministrazione a Stelle e strisce.
A conferma, per lo meno, che se Vicenza dovette assoggettarsi alla ragion di stato per accogliere la base, oggi deve di nuovo chinare la testa di fronte ai possibili effetti di nuove decisioni, il cui “attore” ribadisce di nuovo il ruolo succedaneo dell’Italia e dei suoi cittadini, quelli vicentini nella fattispecie, che nel 2007, dopo essere venuti a conoscenza di un progetto a loro nascosto, indissero una consultazione autogestita che vide la partecipazione di quasi 25.000 cittadini, con circa il 95% di essi esprimersi contro la realizzazione della nuova base militare statunitense.
Recentemente, poi, nel luglio 2024, l’arrivo di missili a corto raggio V-Shorad nelle basi statunitensi di Vicenza ha suscitato nuove polemiche e divisioni all’interno della politica locale che apprese, ancora una volta, la notizia dalle agenzie di stampa manifestando preoccupazioni riguardo alla presenza di tali armamenti sul territorio.

Insomma, mentre alcuni politici locali, come Francesco Rucco, vedono nella permanenza della presenza militare americana, da loro caldeggiata all’epoca dell’amministrazione locale a guida Hüllweck e di quella nazionale con a capo il presidente del consiglio Berlusconi (leggi qui it.wikipedia.org), comunque non certo osteggiato con sufficiente convinzione dai maggiorenti dell’allora opposizione romana (leggi qui), un elemento fondamentale per lo sviluppo di Vicenza, altri esprimono preoccupazioni riguardo l’impatto ambientale e sociale di tale presenza (leggi anche «Vicenza, UNESCO e trasporti materiali pericolosi basi USA: Marangoni, Bottene e Ambrosi per 38 “enti” chiedono piani per gestione rischi»).
Le recenti notizie su possibili ridimensionamenti del contingente statunitense in Europa e l’arrivo di nuovi armamenti nelle basi vicentine hanno, quindi, riacceso il dibattito pubblico, evidenziando la necessità di un confronto aperto e trasparente tra le istituzioni locali, la comunità americana e i cittadini.
E sarebbe ora di attivarlo subito, di questo siamo certi, senza attendere i soliti giochi fatti… dagli altri.
Giochi che, poi, spesso, sono utili a chi li vuole e un ottimo alibi per chi si vorrebbe opporre ma anche no.