Ottantacinque anni di calcio biancorosso incombono sul vecchio stadio Menti, che è sfondo e contenitore di una delle tante sfide-salvezza che si sono combattute fra le sue mura. Questa fra Vicenza e Lecce è l’ultima versione e nemmeno la più drammatica. Perché, vada come vada, non è detto che sia l’ultima spiaggia. Dipende da quel che succederà sugli altri campi dove altre due squadre, che sono messe male (ma non quanto) il Lane, si giocano le loro (pen)ultime chances.
Le gradinate sono quasi interamente occupate, 10.019 spettatori. In Curva Nord solo da un migliaio di tifosi leccesi. Sentono profumo di promozione. La Sud recita il solito encomiabile copione, si tifa fino all’ultimo secondo del recupero finale.
Per fortuna il Vicenza ha scelto la maglia tradizionale, l’Icon è rimasta in magazzino. Ospiti in completo nero, quella che gli esperti di marketing amano definire divisa away. Ventuno dei ventidue giocatori in campo hanno scelto la manica corta, solo il vicentino Sebastien De Maio – chissà perché, visto che è il primo pomeriggio di una giornata primaverile e piena di sole – usa una sottomaglia che gli arriva ai polsi.
Le due curve rumoreggiano in modo diverso. I ragazzi leccesi urlano slogan, gli opposti vicentini intonano cori. Bandiere sventolate senza pausa su tutti e due i fronti. Appesi alle reti ci sono i soliti che non guardano il campo e, megafono imbracciato, dirigono la colonna sonora dei colleghi assiepati sui gradoni. Nelle prime file si esibiscono a torso nudo quelli più tifosi degli altri (o più calorosi?).
Comincia la partita
Si gioca. Non ci sono tatticismi, come si chiamavano una volta. Il Lecce onora il suo ruolo di capolista, sceglie la manovra, fa pesare la qualità dei suoi giocatori, che sembrano in grado di gestire la partita. Rischiano poco. I vicentini sono i soliti, così così, come sempre. Partono dalla propria metà campo, cercano di mettere in difficoltà i giallorossi con le ripartenze, non riescono a star dietro però – e non è una novità – ai centrocampisti avversari.
Nikita Contini, san Nikita come è stato battezzato magari un po’ affrettatamente dai tifosi vicentini il portiere arrivato a gennaio, ha subito modo di confermare la propria santità con una paratona su tiro radente di Strefezza, mirato giusto giusto a lambire il palo alla sua sinistra.
Il confronto fra gli attaccanti di Vicenza e Lecce non è spettacolare. Massimo Coda, re della classifica marcatori, si vede pochissimo ma è meglio non fidarsi, è uno che segna quando meno te l’aspetti. Meglio il compagno Strefezza, brasiliano e brevilineo, gran tocco di palla e movimenti d’attacco imprevedibili. L’attacco biancorosso è, come a Como, una one-man-band, l’unico di ruolo è Diaw, con i suoi soliti pregi e con i noti limiti. I due trequartisti, Da Cruz e Ranocchia, cercano di inserirsi ma non trovano né spazi né ispirazione. Lo juventino calcia male tre corner consecutivi, l’olandese ha buoni avvii ma poi si perde per strada.
A un certo punto il Lecce si abbassa, costringe il Lane a costruire il gioco, il suo punto debole. Funziona solo la fascia sinistra, il fratellino di Romelu è continuo ma quanto a precisione… Il primo tempo finisce senza brividi né emozioni.
Intervallo. Le curve rifiatano, il sole è velato. L’Alessandria pareggia a Parma, il Cosenza perde. Lo 0-0 del Menti serve a poco.
Un secondo tempo spettacolare
Via con la Ripresa. Non ci sono cambi per Vicenza e Lecce. Il Monza passa in vantaggio, la notizia non è buona per il Vicenza perché il Lecce ha ora i brianzoli dietro a soli due punti e non si sa mai. Vediamo se cambia l’andazzo della partita. All’11’ entra in scena re Coda con una punizione da trenta metri dalla linea di porta, un po’ sulla destra dell’area. Palo. Un minuto dopo Strefezza fa paura di nuovo ma non indovina la mira dal limite. Si ripete dopo un giro d’orologio, bravissimo, ma sbaglia di nuovo.
Un po’ di sollievo: l’Alessandria perde. All’ora di gioco entra il vecchio Meggio, se ne va in panchina Zonta. Baldini prova con le due punte. Il Lecce è salito in cattedra, il Lane non riesce a farsi vedere nella metà campo opposta, perde palloni a raffica. A questo punto anche il pareggio serve per rinviare il verdetto definitivo agli ultimi novanta del Moccagatta.
Minuto 69. Il caos. Segna Strefezza, con deviazione di spalla di De Maio. La geniale tifoseria leccese festeggia sparando un petardone dietro Contini, che cade a terra tramortito. Esce in barella. Sostituzione con Grandi. Si invoca il Giudice Sportivo per ribaltare il risultato, ma il risultato tecnico è stato abolito. Si sono persi dieci minuti. Tensione. I giocatori vanno a sollevare i cartelloni pubblicitari dietro la porta nord, caduti nel parapiglia. Ci sarà un recupero finale biblico.
Un finale incredibile
Aggiornamento ferale. Il Cosenza ha pareggiato, Vicenza matematicamente retrocesso, anche se riuscisse a pareggiare. Mancano cinque minuti più almeno il doppio di recupero finale. Tifosi vicentini ammutiti. La Lega Pro con un turno di anticipo è più di un fantasma. La Sud: questa Curva non retrocede, lo cantano da mesi. I tifosi leccesi sono in standing ovation, serie A comunque per la loro squadra.
Il Vicenza ce la mette tutta a far venire il crepacuore ai suoi tifosi. Al 92’ rigore assegnato dal Var. Meggio si fa parare il tiro. L’arbitro fa ripetere, Diaw non sbaglia. Ci sono altri dodici minuti di recupero, però. Non finisce mai.
E cambia tutto. Rodriguez spreca un contropiede tre contro due e, sul ribaltone, a un solo minuto dal 105,’ Ranocchia, uno dei peggiori in campo, si inventa uno shoot da venti metri e inchioda un impensabile 2-1. In una frazione di secondo il Lane passa dalla retrocessione matematica all’ultima chance di provarci ad Alessandria. Il calcio è bello per questo.