Giorgia Meloni ha assegnato i posti ai viceministri e ai sottosegretari nel suo Governo e, nemmeno in quest’occasione dopo lo zero assoluto nell’elenco dei ministri, compare un vicentino fra i designati. La vittoria del Centrodestra delle elezioni politiche non ha portato nell’Esecutivo rappresentanti della provincia vicentina né, tanto meno, del capoluogo, anche se sia l’una che l’altro hanno contribuito con abbondanza di voti al successo della coalizione.
Vicenza, solo 110.000 abitanti ma 850.000 in tutta la provincia, 57% di voti alla coalizione di Centrodestra, otto eletti fra Camera e Senato (più il paracadutato Enrico Letta), resta a bocca asciutta come rappresentanza del territorio nel Governo.
L’opzione zero è un brutto passo indietro rispetto ai precedenti tre Esecutivi. Nel Governo Conte-1 (Movimento 5 stelle più Lega) il Veneto merita tre ministri e quattro sottosegretari e, a rappresentare Vicenza, c’è la leghista Erika Stefani, ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Nel Conte-2 (Movimento 5 stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva) al Veneto spettano un ministro (il bellunese Federico D’Incà) e quattro sottosegretari, fra i quali il vicentino Achille Variati all’Interno. Con Draghi (Governo a larga maggioranza, Fratelli d’Italia all’opposizione) il Veneto non ha sottosegretari ma, fra i quattro ministri della regione, torna Erika Stefani in quello per le Disabilità. Nel Governo Meloni (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi moderati) sono tre i ministri veneti, i padovani Casellati e Urso e il trevigiano Nordio, e altrettanti i sottosegretari: i leghisti padovani Andrea Ostellari (alla Giustizia) e Massimo Bitonci (al MISE) e il veronese Gianmarco Mazzi (alla Cultura) di Fratelli d’Italia.
Allargando l’esame alle principali cariche istituzionali, nella precedente legislatura la padovana Maria Elisabetta Alberti Casellati siede sulla poltrona del presidente del Senato e, dopo il 25 settembre, il veronese Lorenzo Fontana su quella della Camera.
Ignorati i candidati vicentini a un ministero o a un sottosegretariato
Vicenza scompare, dunque, dal proscenio della politica nazionale e la delusione è forte perché i nomi che ricorrevano sia nel totoministri (Stefani) che nel totosottosegretari (Zanettin, Bizzotto) avevano le credenziali per accedere a un incarico nell’Esecutivo.
Erika Stefani ha lavorato molto e bene nel Conte-1 per aprire il percorso delle autonomie regionali e, con Draghi, è riuscita a far decollare il suo inedito ministero per le Disabilità pur con una struttura all’osso.
Il forzista Pierantonio Zanettin è un parlamentare di lungo corso (eletto per la prima volta nel 2001), è un esperto del lavoro in commissione perché ha fatto parte a lungo di quella Affari Costituzionali e in quella Giustizia ed è stato anche ombro laico del Csm oltre che President della Commissione di inchiesta sulla morte di David Rossi (MPS) e componente della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario. Mara Bizzotto è stata prima in Consiglio regionale e, poi, eurodeputata dal 2009 fino a due settimane fa, vicepresidente del Gruppo Europa delle Nazioni (a cui aderisce la Lega) ed è ora senatrice.
Pur con le carte in regola nessuno dei tre vicentini che avevano ottenuto la nomination e nemmeno nessun altro figlio del territorio ha ottenuto un posto nel Governo Meloni. Vicenza è diventata la figlia della serva nello scacchiere della politica nazionale, incapace di esprimere una personalità di rango e di peso che chi compila le liste per le poltrone non possa ignorare.
Il paradosso: Vicenza e provincia primeggiano nell’economia ma non in politica
Questo vuoto di rappresentanza è ancora più inspiegabile e oscuro a confronto con il primato economico di una Vicenza e di una provincia con il fiore all’occhiello della terza Confindustria e della seconda Confartigianato in Italia. Com’è possibile che questa potenza economica non si rifletta in una rappresentanza politica e istituzionale? Non c’è una spiegazione a questo paradosso se non nel ruolo di gregariato in cui città e territorio sono progressivamente scivolati nell’ultimo ventennio, chiudendosi in sé stessi, rifiutando confronti e sfide con vicini ben più intraprendenti come Verona e Padova, permettendo scandali come quello della Banca Popolare di Vicenza, non portando a galla nuove figure di imprenditori, manager, intellettuali e, tanto meno, politici.
Vicenza è fatta di circoli chiusi, impermeabili, autoreferenziali. Sono molti i mediocri che primeggiano immeritatamente sulla scena, conquistando fama e autorevolezza locale ma che non superano i confini del territorio perché i vicentini non li confrontano con le personalità che emergono anche solo nelle province limitrofe e non ne vedono i limiti. Ma questi mediocri non hanno spazio fuori delle mura.
Finchè Vicenza non si sprovincializzerà e non la finirà con le rivalità interne dandosi una struttura e una mentalità all’altezza di un ruolo nazionale e, poi, anche continentale, sarà condannata a stare ai margini e a subire quello che, fuori dei suoi confini, si sta muovendo anche solo a cinquanta chilometri di distanza.